L’analisi

La polveriera caucasica, le tensioni mai sopite

Il tema della sicurezza nella regione è stato al centro delle riflessioni anche nel recente G7; il processo di pace tra Azerbaigian e Armenia va avanti zoppicando

  • 23 aprile, 10:19
  • 23 aprile, 14:48
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Parata militare in Azerbaigian

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Di: Stefano Grazioli

Oltre a quella ucraina e a quella mediorientale c’è un’altra scacchiera che preoccupa i maggiori attori del teatro geopolitico euroasiatico: quella caucasica. Lo dimostra anche l’ultimo incontro al Cremlino questa settimana tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo azerbaigiano Ilham Aliyev, dove la questione della sicurezza nella regione è stata al centro della discussione. Dopo la guerra lampo dello scorso anno con la quale Baku ha di fatto riconquistato il Nagorno-Karabakh, regione sotto controllo armeno sin dagli anni Novanta, il processo di pace tra Azerbaigian e Armenia sta andando infatti avanti molto lentamente, tra varie difficoltà e un nuovo rischio di escalation. Anche dal recente G7 di Capri, la scorsa settimana, i ministri degli esteri dei paesi occidentali hanno invitato le due repubbliche ex sovietiche a rimanere pienamente impegnate negli sforzi per raggiungere un accordo definitivo. L’appello è arrivato dopo che all’inizio di aprile ci sono stati alcuni scontri, leggeri, al confine, e Armenia e Azerbaigian si sono accusate a vicenda, rimpallandosi la responsabilità di aver riacceso la miccia.

Una situazione sempre tesa

La situazione tra Baku e Erevan rimane tesa e se nell’ultimo incontro tra negoziatori, l’ottavo dallo scorso ottobre, l’Armenia si è detta d’accordo nel cedere quattro villaggi di confine che passeranno sotto il controllo di azerbaigiano, non sono mancate le proteste dei diretti interessati. Dopo la sconfitta nella guerra lampo del 2023, circa 120’000 abitanti di origine armena del Nagorno Karabakh hanno già lasciato la regione; il processo di ridefinizione dei confini risulta complicato e si innesta su dissidi ormai secolari. L’Armenia, inoltre, continua ad accusare l’Azerbaigian di aver ancora ambizioni territoriali, in riferimento soprattutto al corridoio di Zangezur, lembo di terra conteso nel sud del paese. Il piano di Aliyev sarebbe quello di collegare direttamente Azerbaigian e l’exclave di azerbaigiana di Nakhchivan, che confina direttamente con la Turchia, attraverso la regione armena di Syunik.

Le potenze implicate

La polveriera rischia insomma di infiammarsi di nuovo, con le potenze limitrofe più o meno direttamente coinvolte; dalla Turchia, storica alleata dell’Azerbaigian con il presidente Recep Tayyip Erdogan che ha supportato Aliyev negli ultimi due conflitti, alla Russia, che in Armenia continua ad avere una base militare, a Gyumri. Da Mosca è arrivata la conferma che il contingente stanziato alla frontiera del Nagorno-Karabakh è comunque in fase di smobilitazione: le truppe russe erano arrivate dopo il conflitto del 2020, il terzo dei quattro che avevano segnato la regione dopo il crollo dell’Unione sovietica e la decisione sarebbe stata presa in accordo con Baku. Anche se per ora non sono chiari dettagli e tempistica, il ritiro russo potrebbe essere un ulteriore segnale che il Cremlino, in questo momento, ha altre priorità ed è pronto a lasciare carta bianca, o quasi, all’alleanza tra Baku e Ankara.

Nell’area del Caucaso anche la terza delle repubbliche dell’ex URSS, la Georgia, sta attraversando una fase di irrequietezza in vista delle prossime elezioni parlamentari e presidenziali in calendario in autunno. A Tbilisi le divisioni interne tra governo e opposizione corrispondono in parte alle linee di frattura tra Russia e Occidente, richiamando alla memoria sia la Rivoluzione delle rose del 2003 sia le vicende analoghe, da quelle passate in Ucraina (2004 e 2014) a quelle più attuali in Moldova. Già nel 2008 la Georgia è stata teatro di una guerra contro la Russia e il conflitto pronto a riesplodere tra Armenia e Azerbaigian rende l’intera regione a rischio di grande destabilizzazione: da una parte il pericolo maggiore è per gli attori più deboli, come Erevan, dall’altra anche le potenze che giocano su più tavoli, Ankara e Mosca in primis, rischiano di assumere un ruolo distruttivo, aumentando l’eventualità di contrasti militari.

RG 12.30 del 20.4.2024 Il servizio di Stefano Grazioli

RSI Mondo 23.04.2024, 09:58

Il mondo spende sempre di più per le armi

Telegiornale 22.04.2024, 20:00

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