Cinema

Omaggio a Bruce Willis

Icona del cinema americano, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e diverso, ha saputo alternare ruoli emblematici a interpretazioni più introspettive, dimostrando un talento che va oltre l’immagine dell’eroe duro e scanzonato

  • Oggi, 16:27
Il mondo dei replicanti - 02

Bruce Willis nei panni di un agente dell'FBI

  • © 2009 Touchstone Pictures
Di: Michele Serra 

Unbreakable-Il predestinato
Omaggio a Bruce Willis per i 70 anni

18 marzo, LA2, 20:35

Genere: Drammatico
Regia: M. Night Shyamalan
Cast: con Bruce Willis, Samuel L. Jackson, Robin Wright Penn, Charlayne Woodard
Paese: USA
Anno: 2000

David Dunn, guardia giurata di Philadelphia, è l’unico sopravvissuto a un tragico incidente ferroviario. L’uomo viene contattato da Elijah Price, appassionato di fumetti affetto da una grave malattia che ha reso le sue ossa fragili come il vetro. Elijah, infatti, è convinto che David possieda dei poteri speciali, proprio come un supereroe.

È famosa, la fotografia di Bruce Willis e Sylvester Stallone (accompagnato da Brigitte Nielsen, moglie per il breve spazio di due anni, e dal fratello Frank) che festeggiano sull’ottovolante di un parco divertimenti californiano il quarantunesimo compleanno del secondo. È il ricordo di una normalissima serata tra amici, e un’immagine-simbolo, per la cultura pop degli anni Ottanta e per la carriera di Bruce Willis. Rappresenta un uomo che ce l’ha fatta, un’icona del genere hollywoodiano per eccellenza, l’action: se eri amico di Stallone nel 1987, voleva dire che eri all’apice. Allo stesso tempo è un’efficace metafora visiva della sua carriera: sempre sulle montagne russe, con picchi altissimi e discese vertiginose.

Willis.jpg

Fast forward al 2014: Bruce è ancora con il suo amico Sly, ma l’atmosfera è meno rilassata. Una discussione. Stallone vuole che partecipi per la terza volta alla sua serie cinematografica blockbuster I mercenari – The Expendables, Bruce risponde che stavolta vuole un milione per ogni giorno di riprese. Sylvester si offende e ingaggia Harrison Ford al suo posto. Il giorno dopo twitta: «Avido e pigro... la formula perfetta per il fallimento di una carriera». Nessun riferimento diretto, ma chi ha orecchie per intendere, intenda: la carriera di Bruce è sul viale del tramonto, in veloce discesa. A me viene da pensare solo: che risposta pensava di ottenere Stallone, visto il titolo del film?
E poi Bruce non sembra affatto pigro, negli stessi anni, davanti – tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente – alla cinepresa di Wes Anderson, per quel Moonrise Kingdom nel quale ruba ogni scena in cui è presente (anche se gli altri sono Bill Murray, Frances McDormand, Edward Norton e Tilda Swinton). A rivederlo oggi, è indiscutibilmente un picco.
Ancora avanti poco meno di un decennio, fino al 2022. Alla fine di marzo, Demi Moore pubblica l’arcinoto post su Instagram che annuncia che il suo ex-marito, nonché padre delle sue tre figlie, è affetto da una malattia neurodegenerativa che non gli permetterà più di lavorare. Arnold Schwarzenegger si fa interprete dei sentimenti di una generazione di fan, e dichiara: «Capisco che fosse necessario per lui ritirarsi, viste le circostanze. Ma in generale, noi non ci ritiriamo mai. Gli eroi del film d’azione non si ritirano, si ricaricano
La malattia e il ritiro dalle scene rappresentano in effetti l’ultima discesa di quell’ottovolante che è stata la carriera di Bruce Willis: non la prima, ma la più malinconica, che in ogni caso non può cancellare le vette raggiunte in una vita professionale lunga mezzo secolo. Così tanti anni sullo schermo, a Hollywood li passano solo gli attori leggendari, e quelli capaci di cambiare e reinventarsi.

Bruce Willis è stato entrambe le cose: icona – perdonate la parola abusata, ma in questo caso non è un modo di dire – del cinema americano, professionista sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e diverso. Una versatilità che parte da lontano, da quando appena ventenne sbarca il lunario passando da un lavoro all’altro: autista della navetta che trasportava gli operai all’interno di un gigantesco complesso industriale (si licenzia dopo la morte di un collega in un incidente); vigilante notturno nel cantiere di una centrale nucleare in costruzione (resiste solo pochi mesi); investigatore privato (questo non si capisce neppure se sia vero, o solo leggenda); barista nei locali di New York. John Goodman – che lo aveva conosciuto proprio in uno dei bar dove lavorava, ben prima che entrambi si facessero notare a Hollywood – diceva che Bruce aveva un talento naturale, quando si trattava di intrattenere i clienti. «Le sue chiacchiere da bar erano il miglior spettacolo gratuito della città», ha detto Goodman. Presto Bruce Willis avrebbe messo a frutto quel talento.
I primi ruoli cinematografici sono senza troppa gloria, eppure il suo volto rimane impresso nella memoria di chi lo incontra. Nel 1985 fa un provino a New York per Cercasi Susan disperatamente, esordio sullo schermo della star musicale del momento: Madonna. La parte era quella di un musicista punk, così Bruce si era tagliato i capelli ad altezze diverse, con parti rasate e un accenno di cresta; si era fatto un paio di tatuaggi finti sulle braccia e per la prima volta indossava un paio di orecchini. Non viene preso, ma solo pochi giorni dopo viene spedito dalla sua agenzia a Los Angeles, per un’altra audizione. Stavolta è per la parte di un investigatore privato in un telefilm brillante del network ABC, ma Bruce non ha tempo né voglia di cambiare: va al provino vestito come per Cercasi Susan disperatamente, con una tuta da lavoro e scarpe da ginnastica sporche. Lui non lo sa, ma il produttore Glenn Gordon Caron è disperato: non trova il protagonista per la sua serie, gli attori provinati sono tutti troppo perfetti e pulitini, lui ha bisogno di qualcuno che sembri appena preso dalla strada. Qualcuno con un’aria newyorchese. Guarda caso, quando la porta si apre, e l’ultimo candidato della giornata si presenta dicendo solo «Salve, sono Bruce Willis. Facciamo questa cosa», rimane conquistato. Però è l’unico a essere convinto. Ai tempi, la persona più potente del network è Aaron Spelling, produttore di Love Boat, Dinasty e Beverly Hills, 90210: uno che vuole protagonisti maschili forti di una bellezza tradizionale, che passa per capelli in ordine, lineamenti regolari e mascella scolpita. Caron, però, non demorde, nonostante i diversi pareri negativi: Bruce deve essere il protagonista del suo Moonlighting, un progetto ad alto budget, con la sigla affidata ad Al Jarreau. Alla fine gliela danno vinta, a patto che l’attore accetti di ripulire un po’ la sua immagine: Willis, messo di fronte alla cifra garantita da un ruolo da protagonista, dice solo: «Dove devo firmare?».

Moonlighting diventa una hit globale, venduta in decine di paesi e capace di raggiungere, al suo apice, il 33% di share negli Stati Uniti. Bruce però è impaziente di passare al grande schermo, continua a fare provini, gira due film con Blake Edwards. Lo cerca perfino Kubrick per Full Metal Jacket, un lavoro che è costretto a rifiutare, con immenso scorno, visto che il suo contratto lo costringe a dare la precedenza alle riprese televisive: di nuovo una piccola discesa, ma è solo il preludio alla salita definitiva.

Trappola di cristallo è un colpo di genio, dal punto di vista del casting. Il ruolo di John McClane era stato offerto a Stallone (ancora), Schwarzenegger, Charles Bronson: loro erano le star che davano corpo sullo schermo al mito del cinema d’azione americano. Bruce Willis invece era considerato un attore brillante, era diverso. E anche Trappola di cristallo finisce per essere un film diverso: senza un protagonista supermacho, invece con un eroe riluttante, che pur aggirandosi per il grattacielo in canottiera, sigaretta in bocca e mitragliatrice in mano, continua a dire che non è proprio quella, la sua giornata ideale. Quella variazione inaspettata sul tema action incassa 140 milioni di dollari (5 volte il budget speso), spara Bruce Willis nella stratosfera di Hollywood, e fa ripartire l’ottovolante della sua carriera.
Sempre alla ricerca di direzioni nuove, Bruce inanella alti e bassi. Fino a quando, nei primi Novanta, non imbocca una discesa che sembra senza fine: la tristissima parodia Palle in canna; Impatto imminente, pallida imitazione dei grandi action per cui era famoso; Genitori cercasi, sui cui è meglio stendere un velo pietoso. Bruce Willis sta auto-sabotando la sua carriera. Per fortuna, arriva un eroe ad aiutarlo.

L’eroe che salva Bruce Willis non ha mantello né cavallo bianco, ma una valigetta nera piena di amore per il cinema. È Quentin Tarantino, che lo butta dentro il meraviglioso tritacarne di Pulp Fiction e riporta a vette clamorose la carriera di Bruce. Che dopo la cura ricostituente tarantiniana infila, nell’ordine: L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam, Il quinto elemento di Luc Besson, e poi due lievissimi successi come Armageddon e Il sesto senso.
Arriveranno altri flop e altre hit, entrambi figli della sua incapacità di stare fermo, fino al 2018. È quello l’anno in cui inizia un’incredibile sfilza di film a basso budget e di altrettanto scarsa qualità: ancora nelle fasi iniziali della malattia, Bruce diventa l’ingranaggio fondamentale di un classico, perverso meccanismo hollywoodiano. La sua presenza, infatti, serve ai produttori indipendenti per raccogliere i fondi per questi film, che senza il nome di una star non sarebbero neppure presi in considerazione dai potenziali finanziatori: loro hanno bisogno di Bruce Willis, e lui ha bisogno di loro. Per tenersi impegnato, e ritardare il momento in cui sarebbe diventato solo un malato cronico? Oppure perché intorno a lui si era ormai creato un circolo di professionisti che avrebbero perso i loro guadagni, una volta che lui si fosse ritirato? 

Non lo sappiamo, ma ora che l’ottovolante si è fermato, rimane la certezza che quella di Bruce Willis sia stata una carriera unica, anche per gli standard hollywoodiani: quale leggenda di Hollywood ha inciso un disco con la Motown (peraltro accompagnato da un vero e proprio mockumentary girato per l’occasione) ben prima di diventare famoso sugli schermi? Chi altri può dire di aver anticipato l’ascesa delle serie televisive, accumulando una fama fuori scala grazie a due dei telefilm più celebri del ventesimo secolo?

26:44

Ricordi e rinascite

Il divano di spade 15.03.2025, 18:00

  • Michele R. Serra

Ti potrebbe interessare