Per il secondo anno consecutivo è un documentario a conquistare l’Orso d’Oro alla Berlinale. Se un anno fa vinse a sorpresa “Sur l’Adamant” di Nicolas Philiber, quest’anno a trionfare è stato l’intenso “Dahomey”, della regista francese di origine senegalese Mati Diop. Un film che prende spunto dalla restituzione, avvenuta nel 2021 da parte del governo francese, di alcuni tesori d’arte appartenenti al regno che fu di Dahomey, quello che oggi è il Benin. E lo fa utilizzando l’acceso dibattito di alcuni studenti dell’Università nazionale, che discutono sul significato di questa operazione politica e culturale che sfocia in un confronto sul senso dell’arte e sul colonialismo.
Restando in ambito documentaristico, a vincere il premio dedicato al miglior film di questo genere è stato “No other land” realizzato da un collettivo israelo-palestinese di 4 giovani registi attivisti, pensato come un atto di resistenza creativa sulla strada verso una maggiore giustizia. Ambientato nella West Bank racconta il rapporto tra giovane militante palestinese e un giornalista israeliano che lo supporta.
La cerimonia di premiazione, più lunga del previsto è stata ricca di proclami per il “cessate il fuoco” ed è caduta nel giorno del secondo anniversario dell’invasione Russa in Ucraina.
Tra gli altri premi assegnati, “L’Empire” di Bruno Dumont ha vinto il premio della Giuria: una spietata satira sul cinema americano di fantascienza, che prendendo spunto dalla lotta tra due razze aliene (gli “Uno” e gli “Zero”) che decidono di scatenare lo scontro finale in Normandia, ci regala cinema allo stato puro e anche un po’ politicamente scorretto.
Completamente diverso l’umore di “A Traveller’s Needs” di Hong Sangsoo, con una straordinaria Isabelle Huppert protagonista, che ha conquistato il Gran Premio della giuria. Un film cinematograficamente ricco, con protagonista una donna ormai avanti con l’età, che trasferitasi in Giappone per mantenersi impartisce lezioni di francese con una didattica “alternativa”.
Emily Watson per “Small things like these”, film di apertura, ha vinto l’Orso d’argento per la migliore interpretazione di supporto grazie al suo ruolo della la madre superiora che guida il convento irlandese dove sono segregate alcune ragazze colpevoli di avere avuto comportamenti considerati libertini o inappropriati. Sebastian Stan ha invece ricevuto quello per la migliore interpretazione principale per “A different man”, grazie al ruolo di un aspirante attore reso deforme da una malattia che, grazie ad una cura sperimentale, viene trasformato radicalmente: ma il suo nuovo volto perfetto diventa il suo incubo.
Nelson Carlos De Los Santos Arias è il miglior regista di questa edizione per il simpatico e divertente “Pepe”, storia di uno degli ippopotami trasportati a Medellin da Pablo Escobar per il suo zoo personale.
Nessun premio ufficiale per “Gloria!” il film di Margherita Vicario, girato anche a Malvaglia, che sembrava poter avere qualche possibilità di entrare nell’albo d’oro. Una piccola ma importante soddisfazione per il cinema svizzero c’è comunque: il Miglior FIlm della sezione Generation K-Plus è “Reinas” della peruviana-ticinese Klaudia Reynicke.
Questa 74ma Berlinale è stata l’ultima con la co-direzione di Mariëtte Rissenbeek (per la parte finanziaria) e Carlo Chatrian, direttore artistico. E in sala era presente colei che succederà loro, la statunitense Tricia Tuttle.
I vincitori della Berlinale
Telegiornale 24.02.2024, 20:00