A inizio 1993 in pochi credevano che gli 883 potessero resistere al tempo. E, nel dubbio, pressoché nessuno era convinto che il loro fosse un pop di valore. “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”, che qualche mese prima li aveva fatti conoscere, da debuttanti, al pubblico, spingendoli oltre il mezzo milione di copie vendute (un’enormità anche per l’epoca), non era ancora l’evergreen che sarebbe stato: il suo stile cartoon ‒ con un piede e mezzo nell’adolescenza e il resto nell’infanzia ‒ e il fatto che fosse prodotto da Claudio Cecchetto, decano dei fenomeni giovanilistici usa e getta (Jovanotti, dopo l’exploit di “Gimme five”, era in crisi), non gli garantiva considerazione, non li faceva prendere sul serio. Il successo raddoppiato, a fine anno, da “Nord sud ovest est”, grazie a canzoni come “Sei un mito” e “Come mai”, li avrebbe invece trasformati in un fenomeno di costume, ma senza scalfire la critica. Cera appena qualche segnale: lo scrittore Enrico Brizzi dedicò una tesi all’aspetto semantico dei loro testi, relatore Umberto Eco (30 e lode); Edmondo Berselli in un articolo si lamentava che nessuno accorgesse “che gli 883 rappresentano un’operazione sociologica, magari irritante ma irrilevante proprio no”. Per il resto, ci sarebbe stato da aspettare.
Showcase Max Pezzali
RSI Cultura 31.01.2014, 01:00
“Hanno ucciso l’Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883”, la serie tv di Sky in onda in questi giorni in Italia, in cui il regista Sidney Sibilia racconta la nascita della band dall’incontro tra i banchi di scuola dei fondatori, Max Pezzali (Elia Nuzzolo) e Mauro Repetto (Matteo Oscar Giuggioli), è a valle di un decennale processo di riscoperta e valorizzazione, in cui la nostalgia per l’epoca, di cui quei brani sono dei simboli assoluti, c’entra solo in parte. Il pubblico di riferimento è prima di tutto quello dei milioni di trenta-quarantenni cresciuti con loro, ma i bagni di folla che lo stesso Pezzali (dal 1994 l’unico a portare avanti il progetto) ha raccolto nelle ultime estati, con tour negli stadi sold out e numeri migliori di quelli dei tempi d’oro, dimostrano che c’è altro: un ricambio generazionale e un cambiamento, soprattutto, di percezione.
E infatti Sibilia si concentra sulla genesi del successo piuttosto che sull’epopea in sé, sul retroterra culturale più che sull’ascesa: Pavia, la provincia degli anni Ottanta, due ragazzi ingenui con il sogno della musica che alla fine, da soli, realizzano. Una storia fai-da-te, straordinaria nella sua normalità ‒ è una commedia e si ride, le vicende personali sono qualunque, non ci sono traumi ‒ e nota solo in parte, messa in scena dopo aver alimentato un’attesa enorme, per scolpirli del tutto nell’immaginario (Pezzali in primis, popstar enciclopedica, sfigata, antidiva) più che per dare giustizia allo spessore delle canzoni. Il risultato è paradossale: se prima l’essere stati scoperti da Cecchetto era uno stigma, oggi è, da titolo, una “storia leggendaria”. Ma, appunto, qui siamo già oltre, già al passo finale.
La rivalutazione intellettuale ‒ che riguarda i testi, perché riguardo alla musica in sé, considerata sempre blanda, c’è poco da ricalibrare ‒ è cominciata più di dieci anni fa, quando le varie “Come mai” e “Con un deca” sembravano confinate a un passato d’oro, senza futuro. In realtà, stava venendo fuori una generazione di artisti che avrebbe usato quello stesso linguaggio: Pezzali e Repetto non hanno raccontato solo la provincia italiana, prima di proprietà di Vasco Rossi e CCCP e in contemporanea di Ligabue; ma l’hanno fatto con uno stile contemporaneo, un mix di slang e reportistica, vicino a chi ascoltava. E come trent’anni prima Gino Paoli e gli altri avevano messo a terra lessico e canzoni descrivendo, semplicemente, il quotidiano con le parole di tutti i giorni, loro lo aggiornavano alla propria epoca: marche, simboli e situazioni ricorrenti d’inizio anni Novanta diventavano protagonisti di pezzi iperrealisti, spaccati di una Pavia che conteneva decine di altre città italiane, dove non succedeva niente e allo stesso tempo succedeva tutto. Storie da bar, insomma, a volte captate, altre vissute, altre ancora immaginate, riportandone fedelmente umori, malinconie, noie e aspirazioni con uno stile di scrittura visivo, cinematografico, preso in prestito dal country.
La rinascita del pop italiano passerà da lì, con nomi come I Cani e Carl Brave e Franco126 che, con lo stesso approccio, tra il 2011 e il 2017 racconteranno la loro realtà, cioè Roma. Sarà uno sblocco, un viatico per tornare a parlare degli 883, per abbattere i pregiudizi ‒ in altri campi, per esempio, un fumettista d’enorme impatto come ZeroCalcare avrebbe cominciato anche lui a dire di essere senza problemi di essere sempre stato fan di Pezzali, ma anche I Cani stessi ci collaboreranno.
Il fatto, infine, che lo sguardo nel frattempo si fosse spostato proprio sulla metropoli (oggi in Italia i ragazzi che restano in provincia sono meno rispetto agli anni Novanta) e che in generale i riferimenti degli 883 fossero invecchiati non è stato un limite, anzi. È stato, semmai, un modo per spogliarle e scoprire l’aspetto esistenzialista, più o meno consapevole, delle canzoni, che ora fa la differenza. Dietro una “Con un deca”, su una serata qualsiasi nella Pavia del 1992, un posto da “due discoteche e centosei farmacie”, c’è una voglia di scappare e d’inventarsi un futuro lontano sempreverde, che ritorna. E così la nostalgia di “Gli anni”, i rapporti di coppia di “Sei un mito”, perfino gli approcci e le considerazioni figlie del proprio tempo e del contesto di “La dura legge del gol” e “Nessun rimpianto”. Insomma, la voce degli 883 non è mai stata così nitida. Anche se i bar sport sono in via d’estinzione e un attacco come “tappetini nuovi e Arbre Magique” non è più contemporaneo; anche se, soprattutto, i dischi non si fanno quasi più, però si moltiplicano le serie tv sui gruppi.
Serotonina, 17.10.24 - 883
Rosy Nervi, Serotonina, Rete Tre 17.10.2024, 08:00
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