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All eyes on Rafah

I social media possono influenzare la risoluzione di un conflitto? Un’analisi sull’impatto di internet sui movimenti sociali

  • 1 giugno, 07:35
All eyes on Rafah
Di:  Emanuela Musto 

Occhi puntati su Rafah (All eyes on Rafah) è lo slogan che ha invaso da qualche giorno i social di tutto il mondo.

Il recente attacco a Rafah, città situata al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, ha evidenziato le complessità e le tensioni che persistono nella regione. Rafah, un punto strategico per il passaggio di merci e persone, era stata dichiarata zona sicura dall’esercito israeliano. Nella notte tra domenica 26 e lunedì 27 maggio le IDF hanno colpito un campo di sfollati palestinesi nella parte nord-occidentale della città, uccidendo 45 persone e ferendone centinaia. Tra le vittime si contano donne e bambini, il che ha sollevato un’ondata di indignazione e condanne da parte della comunità internazionale. Le autorità israeliane hanno giustificato l’operazione come necessaria per colpire obiettivi militari di Hamas e impedire l’uso dei tunnel per attacchi futuri.

L’attacco ha provocato una reazione immediata sia a livello locale che internazionale. Nella Striscia di Gaza, migliaia di persone sono scese in strada per protestare contro l’operazione militare, chiedendo la fine delle ostilità e una soluzione duratura al conflitto. Sul piano internazionale, numerosi paesi e organizzazioni hanno espresso la loro condanna, sollecitando entrambe le parti a fermare l’escalation di violenza. Come di riflesso i social media non sono stati in silenzio. Nelle ultime ore anche in Svizzera e su profili svizzeri è impossibile non imbattersi in questa immagine che ritrae dall’alto una sconfinata tendopoli.

All eyes on Rafah

L’immagine, che invita tutti a tenere alta l’attenzione su quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza (in particolare Rafah), è stata realizzata con l’intelligenza artificiale da un fotografo malese noto online con il nome di Chaa. La fotografia ha raccolto 37 milioni di condivisioni in meno di 24 ore.

Ma può la condivisione di un’immagine realizzata con l’ai cambiare davvero le cose? I social media possono avere un impatto sui movimenti sociali?

È innegabile che l’utilizzo estensivo dei social media digitali da parte degli attori di movimenti sociali è una tendenza emergente che ristruttura le dinamiche comunicative della protesta sociale, ed è ampiamente riconosciuto per aver contribuito a mobilitazioni di successo di movimenti recenti come la Primavera Araba, #metoo, Black Lives Matter.

Internet ha il potere di influenzare la prospettiva e l’ideologia delle persone basate su ciò che vedono pubblicato attraverso i media. Il pubblico è in grado di connettersi e relazionarsi con altre persone attraverso i loro post, in questo modo vengono pubblicati i movimenti social. Con piattaforme come Twitter, Instagram e Tik Tok è possibile vedere “l’altro lato” della storia, non solo le notizie riportate da testate giornalistiche e telegiornali, si scopre la voce di chi prima una voce non l’aveva. Per il movimento Me Too, i social media sono stati fondamenti per dare potere alle voci delle sopravvissute consentendo loro di condividere le loro storie e sviluppare un movimento riconoscibile contro gli abusi sessuali attraverso l’hashtag #metoo. Sebbene il movimento Me Too esistesse dieci anni prima del tweet di Alyssa Milano nel 2017, il suo post sui social media ha innescato la diffusione del movimento. I social media hanno fornito una piattaforma fondamentale al movimento per sbarcare sui media mainstream e nella conversazione pubblica, che alla fine ha portato ad azioni in spazi fisici. Similmente milioni di persone (di ogni etnia) si sono unite al movimento Black Lives Matter quando nel 2020 il video dell’uccisione di George Floyd sconvolse la comunità americana e non solo. Un importante fattore che mobilitò l’opinione pubblica verso BLM fu l’ascesa dei social media. L’hashtag #blacklivesmatter è riuscita ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla problematica della brutalità della polizia contro persone di colore in America. Questi hashtag vengono postati in tempo reale, il che significa che le persone sono in grado di ricevere aggiornamenti o nuove informazioni sui movimenti immediatamente dopo che questi accadono. Il video è sempre stato la prova numero uno delle ingiustizie che si verificano in giro per il mondo, questi portano a proteste che incoraggiano il movimento sociale.

Ed è quello che è successo a quei 37 milioni di utenti che hanno condiviso l’immagine All eyes on Rafah vedendo le cruente immagini degli sfollati feriti e disperati. Un successo di condivisioni per nulla scontato viste le denunce e accuse degli ultimi mesi mosse verso Meta in merito alle politiche di rimozione dei contenuti su Facebook e Instagram. La ONG Human Rights Watch aveva accusato il colosso del settore di censura verso numerosi post a sostegno del popolo palestinese attraverso politiche e sistemi di moderazione dei contenuti. Meta aveva infatti ribadito la proibizione di “contenuti che esprimono supporto per organizzazioni pericolose”. Human Rights aveva sottolineato come Facebook e Instagram avessero applicato in modo radicale queste restrizioni, limitando così le testimonianze e le denunce di abusi da parte del popolo palestinese.

Che un post condiviso su Instagram possa davvero influenzare il decorso del conflitto e la presa di posizione da parte degli Stati Uniti e altri stati europei? Difficile dirlo. Ciò che è certo è che i social media hanno incoraggiato una nuova forma di attivismo contribuendo alla riforma di leggi, mettendo la luce su casistiche che forse altrimenti non avrebbero raggiunto l’opinione pubblica.

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