Di Franz Kafka (3 luglio 1883 – 3 giugno 1924) ci è rimasto pochissimo, lo sappiamo: forse una parola su dieci, di quelle scritte in vita. E solo grazie al tradimento: dell’amico Max Brod soprattutto, ma anche di alcune delle donne che ha amato. Capaci di resistere alle sue ultime volontà, di non distruggere ogni pagina, anzi di conservarla e diffonderla. La diffusione di quella modesta – quantitativamente, beninteso – produzione è andata ben oltre le scarse speranze del suo autore, e ben oltre la letteratura: oggi Kafka è la cultura contemporanea.
Non penso alle lodi di Herman Hesse (“Kafka è il re segreto della prosa in tedesco”) o W.H. Auden (“Se si dovesse indicare l’autore più vicino ad avere con la nostra epoca lo stesso tipo di rapporto che Dante, Shakespeare e Goethe ebbero con la propria, Kafka è il primo cui verrebbe fatto di pensare”), né agli echi evidenti nelle pagine di giganti della letteratura dell’ultimo mezzo secolo sui due lati dell’oceano: nei complottismi di Thomas Pynchon, nella fantascienza oppressiva e illogica di Philip K. Dick e Jeff VanderMeer, nella metafisica strana di Mircea Cărtărescu… l’elenco potrebbe continuare per pagine e pagine, e già critici e accademici ne hanno compilate a centinaia.
Penso piuttosto all’influenza di Kafka su quello che non è strettamente letteratura, ma più in generale la nostra cultura pop. Un’influenza che va oltre gli adattamenti in forma di cinema (dal Processo di Orson Welles al Castello di Michael Haneke, alla pseudo-fanta-biografia Delitti e Segreti di Steven Soderbergh), fumetto (dai comix di Robert Crumb ai manga dei fratelli Nishioka) e perfino videogiochi (il dimenticabile The Franz Kafka Videogame). Ben più interessante è scavare, anche solo per divertimento, nei riferimenti kafkiani sparsi dentro tutte queste arti che qualcuno chiama ancora popolari.
Gli scritti di Kafka sono oggi a tutti gli effetti icone culturali fondamentali, che possono essere rilette e variate infinite volte, producendo racconti e immagini sempre nuove nella cultura pop. La metamorfosi è l’esempio più evidente di questa possibilità: l’inquietante metafora dell'insetto deriva da ansie primordiali eppure ancora radicalmente contemporanee, viste le nuove opportunità che la modernità ci offre di modificare il nostro corpo concreto e la nostra immagine. Non stupisce che nell’ultimo mezzo secolo, La metamorfosi abbia generato centinaia di storie, centinaia di immagini.
Per quanto riguarda il cinema si parte sempre dall’ovvio David Cronenberg, che con il suo La mosca nel 1986 riprendeva direttamente il tema della trasformazione in insetto adattando la short story di George Langelaan uscita quasi trent’anni prima. Quella tra La mosca e La metamorfosi è tuttavia chiaramente un caso in cui la sovrapposizione funziona fino a un certo punto: La mosca è un racconto che si muove all’interno del recinto del genere fantascientifico, ruota intorno all’avanzamento tecnologico e alla hybris dello scienziato; La metamorfosi va molto oltre tali confini. Rimane comunque godibilissima l’introduzione scritta da David Cronenberg esattamente dieci anni fa, per una delle più recenti traduzioni in lingua inglese del racconto di Kafka: “Di recente mi sono svegliato una mattina scoprendo di essere un uomo di settant'anni. È diverso da ciò che accade a Gregor Samsa ne La metamorfosi? Si sveglia e scopre di essere diventato uno scarabeo di dimensioni quasi umane, e non un esemplare particolarmente robusto. Le nostre reazioni, mia e di Gregor, sono molto simili. Siamo confusi e sconcertati e pensiamo che si tratti di un'illusione momentanea che si dissolverà presto, lasciando che le nostre vite continuino come prima.” In fondo, è molto più corretto paragonare La metamorfosi non ad altre opere, ma alla vita stessa…
Volendo percorrere sentieri meno scontati, si può pensare a un altro classico cinematografico anni Ottanta, ma di genere completamente diverso: Zelig, di Woody Allen, il cui protagonista è un camaleonte umano che nelle sue trasformazioni diventa sempre più immagine del conformismo (fino a presenziare ad adunate hitleriane) e sempre più disumanizzato, dando una forma molto concreta a quelle che sulla pagina erano metafore assai più ambigue. Del resto, è inevitabile: il cinema è un medium molto più caldo – per riprendere un McLuhan sempre valido – della letteratura, e non può certo evitare di mostrare, mentre Kafka poteva chiedere al suo storico editore tedesco Kurt Wolff di non pubblicare alcuna immagine, sulla copertina, che potesse essere ricondotta a Gregor Samsa.
Una forma più concisa di racconto per immagini è senza dubbio il videoclip, che proprio dagli anni Ottanta e fino al 2010 circa ha vissuto un’epoca di grande vivacità.
Osservando un catalogo di videoclip musicali prodotti in questi decenni, è inevitabile pensare alla Metamorfosi come matrice delle grottesche trasformazioni dei corpi messe in scena da centinaia di essi: cito tra gli esempi più immediati i clip di Chris Cunningham per Aphex Twin e Björk, quelli di Hype Williams per Missy Elliott, quelli di Francis Lawrence per Lady Gaga. Bad Romance mostra nelle battute iniziali l’artista che si risveglia (sogni inquieti?) all’interno di un bozzolo-bara e si ritrova trasfigurata da un costume bianco, che la fa muovere in maniera contorta. La ricostruzione pop dell’icona-Metamorfosi sembra evidente, e del resto è stata sottolineata anche da diversi saggi accademici.
E tuttavia, è impossibile non notare come lo stesso Kafka sia diventato icona pop: la parola "kafkiano" è entrata (quasi: non vorremmo essere troppo ottimisti) nel linguaggio quotidiano; il ritratto fotografico dello scrittore – parte dell’inglese Hulton Archive, una delle più prestigiose raccolte di immagini del mondo anglosassone – è tra le più riconoscibili della storia della letteratura. Il suo viso è finito su merchandising e souvenir turistici. Anche grazie a questo, Kafka continua a rinnovare la sua influenza sui nostri tempi, frammentati e ambigui come il suo pensiero e le sue opere.
Diceva Jorge Luis Borges che “L'opera di ogni scrittore modifica la nostra concezione del passato, come modificherà il futuro”. Nel caso di Franz Kafka, questa massima si è dimostrata assoluta verità.