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I cani robot della start-up svizzera Swiss-Mile

Fondata nell’aprile 2023 come spin-off del Politecnico di Zurigo, Swiss-Mile mira a sollevare l’umanità da compiti faticosi collegando l’intelligenza artificiale al mondo fisico, grazie alla creazione di robot totalmente autonomi

  • 14 ottobre, 11:12
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Team Swiss-Mile

  • Swiss-Mile
Di: Virginia D’Umas  

Swiss-Mile nasce dal laboratorio del professor Marco Hutter, il Robotic Systems Lab, di ETH del politecnico federale di Zurigo, grazie al quale quattro suoi studenti di master e dottorato sono riusciti a creare questa start-up innovativa. I co-fondatori si chiamano Giorgio Valsecchi, Marko Bjelonic, Lorenz Wellhausen, e Alexander Reske e il professor Hutter, che svolge anche il ruolo di consulente. 

Durante gli studi ciascuno di loro lavorava ad argomenti diversi: Giorgio si occupava della parte di design meccanico e attuazione, ossia la parte hardware del robot; Marco lavorava sulla parte di motion control, quindi sul come definire una traiettoria e fare il tracking; Lorenz sulla parte di navigazione e di percezione dell’ambiente e Alexander sulla digitalizzazione e modellazione 3D dell’ambiente.

Ognuno di loro aveva il suo filone di ricerca, finché a un certo punto hanno iniziato a fare demo congiunte in cui il software di uno veniva collegato sulla piattaforma di un altro e progressivamente le demo sono diventate più complicate e complesse fino ad arrivare a ricevere richieste da parte dei clienti più disparati che volevano acquistare il robot. È stato a quel punto che il team si è reso conto che c’era un’opportunità commerciale e da lì ha fatto partire l’azienda per cercare di trasformare le competenze acquisite negli anni di studio in un vero e proprio progetto commerciale. 

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Cane-robot Swiss-Mile

  • Swiss-Mile

“Prima ero in un’altra start-up di robotica in Giappone ma ho deciso che volevo provare anch’io a farne partire una, ma prima dovevo qualificarmi e creare delle competenze uniche, dovevo essere sul pezzo per quanto riguarda le ultime tecnologie e cosi ho deciso che l’ETH di Zurigo era il posto migliore in cui andare a studiare per mettermi poi nella condizione di creare un’azienda mia. Il caso ha voluto che avessi anche ragione,” ha detto Giorgio Valsecchi, uno dei co-fondatori di Swiss-Mile, ai microfoni della RSI.

Il nome è partito da uno di loro e unisce la Svizzera, luogo in cui è nata la start-up e che è diventata quindi parte integrante dell’identità dell’azienda ad un altro aspetto interessante, ossia quello del final mile.

Infatti, mile che sta per miglio, fa riferimento a uno dei problemi tipici della logistica che è la famosa last-mile delivery, ossia l’ultimo miglio di trasporto, che è quello che costa più di tutto il resto. Questo è un problema sempre più urgente al giorno d’oggi perché l’e-commerce e gli acquisti online stanno aumentando drasticamente (anche grazie al COVID) e ciò sta mettendo sotto stress la catena di fornitura.

Un robot unico nel suo genere
Il robot quadrupede di Swiss-Mile è unico perché, oltre a camminare, può muoversi su ruote e sollevarsi su due zampe per manipolare e trasportare oggetti fino a 60 kg con una velocità ed efficienza fino a 6 m/s (22 km/h) e con 5 ore di durata della batteria.

Questa versatilità lo rende ideale per applicazioni come la logistica e la sicurezza delle infrastrutture.

Ma il vero punto di forza è l’intelligenza artificiale avanzata, che combina apprendimento per rinforzo e supervisionato in un unico framework, questo consente al robot di imparare autonomamente e adattarsi in tempo reale, migliorando costantemente le sue prestazioni attraverso esperienze concrete e scenari simulati.

Ciò ha attirato l’attenzione di investitori di alto profilo come il fondo di innovazione industriale di Amazon e Jeff Bezos, che ha donato 22 milioni di dollari in finanziamenti seed.

Anche se per ora la compagnia tech è pre-ricavo, il suo valore sta nell’idea e nella capacità tecnologica, nonché nel potenziale del mercato.

Al momento di robot ce ne sono soltanto 6, quindi i numeri sono ancora molto piccoli e la ragione è che in fase preliminare di una start-up l’azienda è ancora poco efficiente e il focus non è sull’aumentare nell’immediato questa efficienza ma innanzitutto nell’andare a fare esperimenti commerciali, quindi prima di fare una produzione di grande scala bisogna capire chi è il cliente ideale e qual è l’applicazione ideale.

“Il nostro focus al momento è trovare il giusto cliente e il giusto partner per il quale il valore di questi robot è molto alto. Quindi l’esperienza di start-up è di scontrarsi con la realtà quotidiana e andare a cercare l’azienda per la quale questo tipo di tecnologia crea il massimo valore e poi a quel punto si parte con il volume. Quindi al momento il focus dell’azienda e sull’esplorazione e non sull’operazione commerciale”, ha detto Giorgio. 

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Giorgio Valsecchi

  • Swiss-Mile

Ma i robot possono davvero migliorare il mondo?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima partire dall’inizio, spiegando innanzitutto cos’è un robot.

I robot hanno due componenti: una di intelligenza e una di fisica. La prima prevede l’utilizzo di un processore che è lo stesso che abbiamo nel computer o nel cellulare. Il processore vede il mondo, quindi legge le telecamere, i sensori laser, i microfoni e tutti i rivelatori che sono sul robot e poi ci sono degli algoritmi che leggono il mondo esterno più la missione che è stata data al robot, come ad esempio quella di portare un pacco da un posto all’altro. Tutte queste informazioni vengono poi processate e si traducono in comandi da dare agli attuatori. La parte fisica del robot, invece, è una struttura che ha a bordo la capacità sensoriale, quindi ha telecamere che la parte di intelligenza legge, ha una fonte di energie (una batteria) e degli attuatori (dei motori) che possono essere controllati e che sono concatenati, permettendo così dei movimenti complessi come quelli di un animale biologico. Unendo la parte di intelligenza e di metafisica si riesce a creare un agente autonomo al quale si può dare una missione, che può essere più o meno complessa.

“Possiamo prendere come esempio un’infrastruttura critica come una centrale di potenza o un centro dati, che sono infrastrutture dove solitamente ci sono guardie 24 ore su 24 e si può dare al robot una missione che è equivalente a quella di una guardia, quindi dirgli “muoviti intorno al perimetro, vedi se c’è qualcosa di diverso dal solito, come una finestra rotta o una porta lasciata aperta o ancora una persona che di solito non hai mai visto e se dovessi notare qualcosa manda un report e mantieni il punto di vista su questa anomalia”. La differenza tra una telecamera e un robot, nel caso che ho appena citato è che quest’ultimo può seguire una persona che non dovrebbe trovarsi lì, cosa che evidentemente una telecamera non può fare, quindi la componente di mobilità è ciò che contraddistingue un robot da un sistema di sicurezza tradizionale,” ha detto Giorgio Valsecchi.

Ma non solo, infatti i robot possono essere utilizzati lì dove c’è carenza di forza lavoro e andare a rimpiazzare le persone che fanno lavori manuali duri e tediosi, che potranno delegare la parte più sgradevole del lavoro al robot e diventarne controllori.

La domanda se i robot tolgono lavoro alle persone resta, ma il co-fondatore di Swiss-Mile ci assicura che non è così, spiegando che al momento, solo negli Stati Uniti, ci sono milioni di lavori vacanti e che quindi il problema non è che i robot tolgono lavoro a noi umani, ma piuttosto come fare a riempire questi posti di lavoro per i quali non si trova personale. 

“La nostra visione è che il lavoro che ora fa un team di 4 persone lo faranno 4 persone più un robot ma progressivamente ci saranno sempre più robot e sempre meno persone, questo perché la forza lavoro umana andrà a spalmarsi su attività più interessanti e meno esigenti. Inoltre, c’è un altro trend in corso che è quello dell’invecchiamento della popolazione, non a caso l’età di pensionamento continua ad essere alzata nei paesi più sviluppati del mondo occidentale in cui la piramide demografica si inverte, quindi anche per una questione di sostenibilità economica certi lavori vanno automatizzati,” ha aggiunto l’ingegnere robotico.

Il futuro è … robot!

Quando parliamo di robot, nell’immaginario collettivo si pensa a persone con un computer in mano che programmano e che scrivono codici, persone come scienziati o ingegneri e non il vicino della porta accanto, ma secondo Valsecchi questa visione è sorpassata. Lui vede un futuro in cui le persone comuni, quindi non per forza con una formazione scientifica avanzata, saranno in grado di lavorare con i robot e di interagire con essi come se fossero dei colleghi, potendo parlare con loro e dargli delle missioni da compiere. “I robot saranno sostanzialmente dei colleghi che non hanno il problema del mal di schiena, che non devono prendere ferie e così via, quindi saranno dei colleghi che tutti noi saremo molto felici di avere,” ha detto l’ex studente dell’ETH.

La visione dell’azienda è quella di costruire un futuro senza fatica e pensandoci bene i robot inchiodati al terreno esistono nelle fabbriche da decenni, ora siamo riusciti finalmente ad avere robot che sono capaci di muoversi liberamente nell’ambiente e questo crea l’opportunità di rimuovere fatica da tanti lavori.

“La tecnologia è disponibile, noi abbiamo le competenze, c’è un’opportunità economica, cerchiamo di apportare un prodotto in grado di semplificare la vita alla gente” - Giorgio Valsecchi.

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Il futuro di uomini e robot

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