“Computer quantistico” sembra una parola da fantascienza, una tecnologia vagamente definita ma oltremodo strabiliante che in un futuro lontanissimo condurrà le navicelle spaziali alla conquista di altre galassie. Invece, queste macchine ci sono già, seppur ancora immature, e non manca molto perché inizino a costituire una parte attiva della nostra società. I computer quantistici non prenderanno il posto dei nostri laptop sulla scrivania di casa, ma popoleranno grossi centri di calcolo accessibili da remoto dedicati ad applicazioni scientifiche, economiche e militari.
Negli ultimi due decenni è scattata una competizione serrata a colpi di miliardi di dollari tra superpotenze politiche, soprattutto Stati Uniti, Cina ed Europa, per essere i primi a raggiungere dei computer quantistici massicci e affidabili. La ragione dietro tutto questo improvviso interesse ha un nome dal suono quasi mitologico: algoritmo di Shor. Pubblicato dal matematico americano Peter Shor nel 1994, l’algoritmo consiste in una sequenza di operazioni eseguibili da un computer quantistico in grado di scomporre rapidissimamente in fattori primi qualunque numero. Per intenderci, significa ad esempio riscrivere 6 come 3 per 2. Quello che sembra un mero vezzo matematico è il concetto alla base dei più comuni protocolli di sicurezza utilizzati nel trasferimento criptato dei dati. Infatti, larga parte della crittografia digitale attuale si basa sull’assunzione che nessun computer sia in grado di trovare i fattori primi di grandissimi numeri lunghi centinaia di cifre in tempi umani. In altre parole, chi riesce a costruire un computer quantistico sufficientemente potente può utilizzare l’algoritmo di Shor per infiltrarsi nei sistemi di sicurezza di banche, servizi di intelligence o archivi digitali. Naturalmente, le capacità di questi strumenti non si limitano a decriptare i sistemi di sicurezza, ma si espandono a qualunque attività scientifica o tecnica che richieda grande potenza di calcolo ed è per questo che interessano ai ricercatori. Ad esempio, aiuteranno lo sviluppo rapido di molecole farmaceutiche, la progettazione di nuovi materiali o le simulazioni climatiche, ma anche le previsioni finanziarie e perfino l’apprendimento automatico.
Computer quantistici all’IBM Research di Zurigo
RSI Cultura 30.09.2023, 18:00
Diversamente dai calcolatori classici, un termine gergale che indica i nostri computer attuali, i sistemi di cui stiamo parlando sono pensati in modo da sfruttare le controintuitive proprietà della meccanica quantistica attraverso unità di calcolo chiamate qubit, in riferimento ai “bit” dei sistemi classici. Una delle proprietà che i qubit possono sfruttare è il principio di sovrapposizione, ovvero la capacità di trovarsi in più stati contemporaneamente finché non viene effettuata la misura. È come se in questo modo i computer quantistici potessero svolgere molte operazioni in simultanea, similmente a cercare l’uscita di un labirinto percorrendo tutte le strade contemporaneamente. Attualmente, la maggiore sfida dei ricercatori è aumentare la stabilità dei sistemi, in modo da diminuire gli errori e collegare fra loro un grande numero di qubit per raggiungere l’agognata “supremazia quantistica”: risolvere con un computer quantistico un problema impossibile per qualunque calcolatore classico mai costruibile. Proprio la supremazia quantistica è stata terreno di scontro tra due dei protagonisti del settore, Alphabet Inc. (Google) e IBM. Nel 2019, la casa californiana ha annunciato di essere riuscita a svolgere in 200 secondi un calcolo (inutile) per il quale il più potente supercomputer classico avrebbe necessitato circa diecimila anni. IBM, d’altro canto, accusa la rivale di aver furbamente sottostimato i sistemi classici, che invece a detta loro sarebbero in grado di svolgere il compito in un paio di giorni. Insomma, una zuffa tecnologica che lascia intendere due cose: la prima è che le valutazioni tecniche nel settore sono molto complesse. La seconda è che ci sono di mezzo moltissimi interessi commerciali.
Ecco il supercomputer quantistico
RSI 24.10.2019, 18:12
Secondo la società di consulenza Boston Consulting Group, il settore ha attratto investimenti per 1.6 miliardi di dollari nel 2022, ma saprà generare tra i 450 e gli 850 miliardi di dollari di ricavi attorno al 2035 vendendo potenza di calcolo. Numeri da capogiro per una tecnologia che deve ancora dimostrare per davvero di che cosa sia capace. Così, mentre Google, assieme alla fondazione Geneva Science and Diplomacy Anticipator (GESDA), ha appena messo in palio cinque milioni di dollari per chi trovi un’applicazione del computer quantistico utile a risolvere un problema reale, IBM vanta il record per dispositivo con il maggior numero di qubits del mondo, mille. Tra le aziende già note ai più, partecipano alla sfida anche Intel, che già vende ai ricercatori processori quantistici con 12 qubit, e Microsoft, da sempre distinta anche per lo sviluppo di linguaggi di programmazione dedicati.
La Svizzera non resta a guardare e, poco distante dai centri di ricerca specializzati di IBM e Microsoft nei pressi di Zurigo, ha recentemente installato a Basilea dei centri di calcolo quantistico con l’azienda IonQ. Nel marzo 2024, armasuisse ha reso noto che il proprio istituto Cyber Defense Campus (CYD Campus) sta conducendo dei test per svolgere l’algoritmo di Shor con numeri piccoli utilizzando calcolatori quantistici e infrastrutture cloud presenti nel nostro territorio. I coinvolgimenti degli eserciti possono incutere timore, eppure, come la storia ha già dimostrato, non è la tecnologia stessa a costituire un pericolo, ma l’utilizzo che ne fa l’uomo.