Società

La dipendenza da internet: realtà tangibile anche in Svizzera

Tra i giovani, la prevenzione passa in particolare dalla sensibilizzazione nelle scuole: conoscere il fenomeno aiuta a contrastarlo in modo diretto, con buoni risultati

  • 23 ottobre, 17:20
Dipendenza internet
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Di: Red. 

Era il 1995 quando si cominciò a parlare di I.A.D: Internet Addiction Disorder, una dipendenza da tecnologia, in particolare da internet, individuata dallo psichiatra americano Ivan Goldberg che ne coniò l’espressione prendendo spunto dalla già identificata dipendenza dal gioco d’azzardo. In quel momento l’uso smodato di Internet veniva descritto come “un abuso di quella tecnologia” che determinava conseguenze negative importanti sulla vita di chi ne era affetto. Un uso patologico, un uso malato.

Nel corso del tempo, tuttavia, nonostante il concetto di dipendenze tecnologiche si sia sempre più diffuso, non tutti gli esperti del settore si sono detti unanimi nel far corrispondere questo costrutto ad una vera e propria diagnosi, perché esisterebbe uno spettro con diverse gradazioni e sfumature. Una definizione univoca per la comunità scientifica è dunque difficile se non impossibile, e lo è per due ragioni principali: ad oggi non esiste un parametro oggettivo per definire in modo chiaro cosa si intenda per utilizzo “eccessivo” di internet, e secondariamente non è semplice indicare se l’uso incontrollato della rete e dei social network sia il risultato di altre problematiche già esistenti, o comunque possa nasconderne di altre. Ma il fenomeno non è trascurabile, soprattutto tra i giovani tra i 14 e i 21 anni, tra i quali -come indicato in una ricerca portata avanti nel 2023 da Save the Children, l’0.8% viene già identificato come gravemente dipendente da internet e il 5% come dipendente in modo moderato (includendo la dipendenza dai social network, ma anche il gioco online, lo shopping compulsivo o i siti pornografici).

Nello studio emerge poi anche un effetto significativo di queste dipendenze: la sindrome di Hikikomori, che si traduce in un comportamento di isolamento sociale volontario messo in atto appunto come conseguenza dell’assuefazione da tecnologie per la rete. Il termine nasce anch’esso già negli anni ’90 in Giappone, utilizzato inizialmente per identificare in particolare il comportamento messo in atto da individui che venivano travolti dalle forti pressioni psicologiche che la società nipponica esercitava, con una risposta appunto, soprattutto dei giovani, di una reclusione in casa totale (hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”). Fu Tamaki Saitō lo psichiatra che identificò questo comportamento nel libro Hikikomori: Adolescence Without End, spiegando che in quel caso il fenomeno aveva un esordio attorno alla seconda metà dei 20 anni e comportava un isolamento totale dalla società per oltre sei mesi, soprattutto in individui nei quali non vi erano altri disturbi psichiatrici che potessero spiegare le cause di questa condizione.

Abbiamo detto invece che l’uso problematico di Internet si manifesta in vari modi e forme, ed é noto che esso coinvolga diverse attività online, sebbene principalmente ci sia un sempre maggior uso, smodato e compulsivo, di Internet e di social media (come Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat, ecc), con la conseguenza primaria di dipendenza da validazione sociale, ossia l’ossessione per il conteggio dei “mi piace” o dei commenti di altri utenti, che porta ad un’incapacità di distaccarsi dalle piattaforme anche quando questo ha risvolti negativi sulla vita di tutti i giorni.

Dipendenza cellulare
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Per quanto riguarda la Svizzera, ad inizio 2024 sono stati pubblicati i risultati della prima edizione (primavera 2023) di un sondaggio incaricato dalla SSR in collaborazione con Gfs.bern intitolato Svizzera, come stai?, indagine costituita da quasi 300 domande alla quale hanno partecipato oltre 57’000 persone. Legato all’uso di internet e dei social media, tra le varie conclusioni emerse che “gli svizzeri non possono più fare a meno di internet e dei social media [...] eppure la stragrande maggioranza constata un impatto negativo sul sonno, sulla tutela dei minori, sulla salute mentale e sul sesso”. I social media infatti sono usati dal 75% dei sondati almeno una volta al giorno, ma solo il 4% è pienamente convinto che abbiano arricchito la loro vita (numero che sale a 34% se si include chi è parzialmente d’accordo). Nemmeno tra i più giovani questa opinione raccoglie una maggioranza; una percentuale particolarmente alta nella Svizzera italiana (49%) e bassa in Romandia (1%), mentre sono le donne a fare un uso più intenso di Internet e dei social media.

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Molto social, ancora sapiens?

Modem 01.02.2024, 08:30

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L’impegno per far fronte a questa situazione nella Confederazione elvetica (al contrario di altri Paesi come l’Australia in cui ci si avvia verso il divieto d’uso dei social network per i più piccoli) è quello di portare avanti nelle scuole campagne mirate di sensibilizzazione. E i risultati sembrano incoraggianti, come spiega il giornalista informatico Paolo Attivissimo secondo il quale “c’è una presa di coscienza del fatto che i social network sono un meccanismo fatto dagli adulti per manipolare i giovani e quindi c’è una certa diffidenza. C’è anche, finalmente, comprensione del fatto che quello che vediamo sui social network non è la realtà”. Tuttavia, la paura nei confronti di questi strumenti parrebbe esserci anche tra persone esperte poiché “se non li conosci prendono il sopravvento, ti possono manipolare, ti possono usare in maniere che neanche immagini” continua Attivissimo “e soprattutto è difficile rendersi conto di quanto ti esponi; siamo troppo trasparenti rispetto a persone che potrebbero volerci male”. La dipendenza secondo il giornalista è totale e, peggio, é evoluta: “è stato inventato ad esempio lo scorrimento infinito. Prima sfogliavi le pagine, dovevi cliccare per andare avanti, mentre adesso (da molto tempo) puoi scorrere all’infinito, e questo gesto è molto simile a quel momento di dopamina che ti arriva quando sei davanti alla slot machine: tiri la leva e aspetti il risultato. Quello è il momento in cui ti senti l’energia, ti senti stimolato particolarmente”.

E lo psichiatra Michele Mattia non ha dubbi che si tratti di dipendenza, in particolare di una dipendenza senza sostanze, che comunque agisce a livello neurologico in modo importante. Parallelamente, il fenomeno di banalizzazione è comunque concreto: siccome la maggior parte delle persone usa internet e i social network, diventa qualcosa di normale e naturale, soprattutto tra i giovani, sottovalutandone quindi i pericoli.

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Social addiction, dipendenza senza sostanza

Il Quotidiano 14.10.2024, 19:00

Tuttavia, come sottolinea lo psichiatra, ammettere di essere dipendenti da internet è molto difficile, e lo è perché si tratta di un fenomeno legato al nostro funzionamento cognitivo e biologico naturale, nel quale si innesca una sorta di corto circuito e di circolo vizioso. In particolare, il già citato gesto dello scorrimento continuo proposto nei social media, sfrutta appositamente le debolezze umane conducendoci costantemente ad entrare in molti mondi, nei quali però non troviamo mai una reale e piena soddisfazione. È proprio in questo momento che il nostro cervello inizia a secernere la dopamina, neurotrasmettitore che se stimolato per troppo tempo va in contro ad una riduzione e, di conseguenza, si riduce anche il circuito del piacere; la volta successiva infatti, per ritrovare il medesimo piacere, dobbiamo aumentare l’attività, e questo porta poi all’instaurarsi del meccanismo della dipendenza.  

Secondo Mattia “in una società dove si è creato sempre di più una iper-protezione genitoriale verso il figlio […], in realtà abbiamo lasciato i figli da soli sull’online, e questo è un grosso problema”.

Dipendenza  telefono famiglia
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Oltre a fattori di rischio di natura individuale, sociale o ambientale, secondo l’Istituto italiano di Terapia Cognitivo Comportamentale A.T. Beck é proprio nell’ambito famigliare che spesso viene favorito lo sviluppo della dipendenza da internet, soprattutto in adolescenza; laddove infatti gli ambienti sono caratterizzati da conflitti, da abusi, da trascuratezza o da genitori poco coinvolti, l’uso problematico di Internet è identificabile come “strategia di coping”, per cercare di tenere sotto controllo, affrontare e/o minimizzare quei conflitti e situazioni o quegli eventi stressanti.

In aggiunta, c’è poi stata anche la recente pandemia di Covid-19, nella quale molti giovani si sono ritrovati da soli in casa, senza amici, senza la possibilità di frequentare la scuola e i compagni, con tutta una serie di dispositivi tecnologici che, in quel periodo di forzato isolamento, sono diventati la fonte primaria di intrattenimento. Settimane e mesi trascorsi in casa con la sola compagnia di internet sono così diventati la realtà di questi adolescenti, il loro intero mondo, che spesso li ha risucchiati completamente.

Secondo la piattaforma Dipendenzesvizzera.ch quasi il 7% della popolazione elvetica, giovani in primis, presenta un comportamento online simile alla dipendenza. Gabriele Barone, psicologo e psicoterapeuta specializzato in forme di malessere legate al digitale, ci tiene comunque a sottolineare che l’abuso di internet é una dipendenza diversa da quella da sostanze come droghe o alcool, con un impatto minore sul cervello e sul corpo, ma il cui risultato è in ogni caso tangibile e si traduce soprattutto a livello comportamentale; i metodi di presa a carico (sviluppati in particolare negli ultimi anni e in modo specifico dopo la pandemia) si concretizzano in effetti in questa direzione. Si tratta delle terapie cognitivo-comportamentali (TCC): un approccio che si concentra sul cambiamento dei pensieri e dei comportamenti disfunzionali associati all’uso eccessivo di Internet, nonché sullo sviluppo di strategie per gestire efficacemente l’impulso di utilizzare Internet in modo problematico. Ciò comporta ad esempio imparare ad essere consapevoli dei propri schemi di utilizzo così come dei pensieri e delle emozioni associati ad essi, oppure conoscere le tecniche per la gestione dello stress (respirazione profonda, rilassamento muscolare progressivo, mindfulness), o anche imparare come sostituire i comportamenti problematici legati all’uso di Internet con attività alternative più sane e gratificanti, come l’esercizio fisico, l’arte, la lettura o l’interazione sociale faccia a faccia.

Pur essendoci uno spettro di gradazioni e sfumature, lo psicologo sostiene che per capire se il tempo di permanenza in rete si sia trasformato in abuso (e quindi si sia innescata un fenomeno di dipendenza), é importante osservare sia dei fattori palesi come la durata dell’uso dei dispositivi tecnologici (per almeno 6-8 ore al giorno in modo continuativo per un lasso di 6 mesi o di un anno), sia dei sintomi come la riduzione dei comportamenti sociali, la perdita di relazioni sociali e affettive, la difficile gestione emotiva se non si può usare la tecnologia, la riduzione della cura di se stessi e la compromissione dei comportamenti normali dell’individuo come la frequenza scolastica o lavorativa.

La notizia positiva per Gabriele Barone é che quando si comincia un trattamento per una dipendenza tecnologica, il tasso di remissione è molto alto e si può tornare al normale funzionamento della persona.

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Dipendenza tecnologica

Laser 15.10.2024, 09:00

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