Società

Lo spazio degli intellettuali nella società di domani

L’importanza di educare l’ascolto per incidere sul progresso del mondo

  • 2 ore fa
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Henri Fantin-Latour, Le coin de table (1872)

Di: Elia Bosco 

Capita sempre più spesso di sentire, con tono perlopiù nostalgico, la frase: “Non ci sono più gli intellettuali di una volta”. Pensiero che, se traslato in tutti i campi dell’attività umana, sembra trovare sempre una sua verità, dovuta alla tendenza di elevare ed idealizzare continuamente il passato e non trovare mai un’età dell’oro che si situi nel tempo presente. Se così fosse, significherebbe che nella storia umana non ci sia mai stata una conformazione sociale, politica, morale di cui essere pienamente soddisfatti. Il traguardo è sempre o nel passato o nel futuro. Gli intellettuali, coloro che, attraverso le loro competenze e il loro spirito critico, hanno la capacità di mettere in discussione il mondo in cui vivono, leggerne le dinamiche, le conquiste e le contraddizioni, non hanno tuttavia mai smesso di esistere, ma di sicuro non esercitano più la funzione che essi hanno ricoperto nel corso della storia. È nostro compito chiederci cosa sia cambiato nella contemporaneità e quale possa essere il loro ruolo nel mondo di domani.

Da questa semplicistica concezione della realtà sfugge, clamorosamente, un fattore determinante che stabilisce nel concreto lo sviluppo della società e quindi lo spazio degli intellettuali: la capacità di ascoltare. E, bisogna dirlo fin da subito, l’ascolto è una facoltà che necessita di essere educata ed accolta. Non è di certo una capacità naturale, sensoriale, come lo è l’udito. Ascoltare significa compiere attivamente un’azione, partecipare all’evento comunicativo in cui siamo coinvolti seppur senza emettere parola. L’ascolto è dunque una componente fondamentale per la buona riuscita della comunicazione che, per definizione, interessa sempre due o più soggetti che interagiscono tra loro.

In primo luogo, l’ascolto deve presupporre il rispetto nei confronti dell’interlocutore, poiché siamo propensi ad ascoltare una persona dal momento in cui si riconosce in quest’ultima un valore, una risorsa per mettersi in discussione e articolare una visione sempre più completa ed esaustiva della realtà. Dalla discussione si fa strada la verità, dalla pluralità di opinioni si costruiscono ragionamenti sempre più ricchi e validi, e il rispetto dell’interlocutore, la presa di coscienza della valore della sua persona e della sua posizione, è il punto di partenza per l’ascolto e, dunque, per una comunicazione che sia vitale. In secondo luogo, di fondamentale importanza è la capacità di raccoglimento in sé stessi. Non si può dire di aver ascoltato una persona se nello stesso momento si è occupati da un’altra attività. È necessario quindi staccarsi dalla realtà, isolarsi ed essere completamente immersi nel contesto comunicativo in cui ci si ritrova ed elaborare punto per punto quanto l’interlocutore dice. L’ultimo fattore per un ascolto qualitativo, che in qualche modo si lega con i primi due, è la disponibilità: la capacità di accettare che un’altra persona possa insegnarci qualcosa di nuovo e darci una nuova prospettiva sulle cose.

È un dato di fatto che, nel mondo di oggi, la soglia di attenzione si sia abbassata vertiginosamente rispetto a qualche decennio fa. I media più frequentati dalle nuove generazioni puntano tutti su contenuti audiovisivi che permettono una fruizione rapida, da un minimo di pochi secondi sino ad un massimo di pochi minuti. Pochissime volte, poi, a causa del bombardamento mediatico a cui ognuno di noi è sottoposto, non ci si ritrova distratti da qualcosa d’altro.

La classe dirigente, invece, è sempre meno incline all’ascolto di intellettuali che, con cognizione di causa, cercano di dare una lettura del mondo non sempre benevola, ma con l’auspicio di migliorare la situazione e tracciare una strada meno interessata al potere, economico o politico che sia, e più a ciò che è giusto per l’umanità in senso lato. Da un lato, dunque, è venuta meno la capacità di raccoglimento in sé stessi, dovuta alla bassa soglia di attenzione e alla tendenza ad essere distratti, mai pienamente coinvolti in una sola attività, dall’altro lato si è sempre meno disponibili a cambiare idea, sia per interessi, sia per paura, sia semplicemente per l’incapacità di mettersi realmente in discussione.

Se pensiamo al mondo dei media, oggi sempre più centrale per la divulgazione di idee, lo spazio dedicato agli intellettuali si restringe continuamente. Pensare ad un programma televisivo che metta intellettuali di diversa formazione in contatto con politici, imprenditori, persone che in generale incidono concretamente sul benessere della vita pubblica, è ormai difficile. Il dialogo dell’intellettuale con i rappresentanti dei poteri, quando si situa in un contesto, mettiamo, televisivo, resta sempre limitato e poco produttivo, soprattutto per l’incapacità di porre domande ineludibili, scomode, che mettano l’interlocutore di fronte alle contraddizioni della società e da cui non può sfuggire. Ci vuole coraggio e soprattutto prontezza ad affrontare le conseguenze delle provocazioni. Non sempre gli intellettuali di oggi sono pronti a rischiare.

Bisogna trovare un’altra strada. Potremmo dire, a questo punto, che il futuro degli intellettuali non deve più essere soltanto quello del professore universitario, che dalla sua cattedra veicola con la parola conoscenze in modo unilaterale, bensì un futuro di ascolto, di messa in discussione continua, di modestia e di accettazione a rientrare in una forma di dialogo vivace e vitale. Dunque, educare la capacità dell’ascolto. Se pensiamo agli albori della filosofia, essa nacque come dialogo: non si trattava di verità che cascavano dal cielo o che uscivano dalla bocca della persona più sapiente, bensì si trattava di un processo dinamico, partecipato, plurale, alla cui base stava la capacità di ascolto. L’educazione di questa fondamentale facoltà è dunque la chiave di accesso per intervenire attivamente in un contesto che sembra sempre più incline ad ignorare le visioni diverse e a guardare in faccia i propri limiti: così l’intellettuale, militante e attivo in passato, tornerà ad avere un proprio spazio attraverso un ascolto e una comunicazione che partano dal basso per poi approdare, si auspica, laddove la politica agisce nel concreto.

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C’era una volta l’intellettuale

Alphaville 25.10.2024, 12:35

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