Società

Nascita e sviluppi dell’economia linguistica

Se le macchine parlano e gli uomini non vengono ascoltati

  • 6 dicembre 2023, 13:22
Intelligenza artificiale
  • iStock
Di: Francesca Coin 

“Immaginate un mondo in cui le macchine sono artisti, narratori o addirittura economisti che producono contenuti che imitano l’intelligenza umana”. Con queste parole Hervé Tourpe si proponeva di discutere i pericoli e le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale (IA) nel numero di dicembre di Finance & Development, che il Fondo Monetario Internazionale ha dedicato a questo tema. Era il 1994 quando l’economista Christian Marazzi prefigurava nel suo seminale Il posto dei calzini la nascita di un’economia linguistica, in cui la comunicazione sarebbe entrata nel processo produttivo diventandone il fattore predominante. L’economista anticipava la nascita di un nuovo paradigma produttivo destinato a divenire prevalente nell’epoca post-fordista, incentrato sul digitale e sulla comunicazione. Per molti versi, l’IA è l’epitome di questa svolta, a descrivere una tecnologia capace di trasformare il sistema produttivo in ogni suo segmento, a partire dalla sua capacità di incarnare le capacità linguistiche umane.

È stato Alan Turing a immaginare per primo la possibilità di convivere con macchine in grado di comprendere e interagire con sistemi di dati complessi. Nei decenni successivi è arrivato ELIZA, un programma che ha impressionato gli scienziati per la sua capacità di generare risposte simili a quelle umane. Poi è stato il turno di Google Translate e degli assistenti digitali come Alexa e Siri. Nel 2022 è arrivata, infine, ChatGPT che ha consentito al grande pubblico di sperimentare le possibili applicazioni dell’IA nella sfera pubblica e privata, per migliorare i servizi ai cittadini, superare le carenze di personale, affinare le previsioni economiche e monitorare i rischi delle crisi che ci attanagliano.

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L’anno di GPT

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Nel suo pezzo, Hervé Tourpe enumerava le potenzialità e i pericoli di tutto questo. Nella lista dei pericoli, in primo piano poneva le allucinazioni: la disinformazione che l’IA può contribuire a creare, utilizzando la capacità di generare realtà virtuali assai simili al reale come arma per manipolare la politica, i mercati e l’opinione pubblica. La sostituzione della forza lavoro è un altro potenziale esito delicato, scrive Tourpe, che consente di delegare alle macchine i compiti che prima erano svolti dagli umani, con conseguente perdita di posti di lavoro.

Circa dieci anni fa Carl Benedikt Frey e Michael Osborne, due economisti, pubblicavano un articolo in cui si sosteneva che il 47% dei posti di lavoro era a rischio di automazione. A novembre 2023, poi, Elon Musk ha dichiarato che verrà un momento in cui non sarà necessario alcun lavoro. “Potrete avere un lavoro se volete un lavoro, per una sorta di soddisfazione personale, ma l’IA sarà in grado di fare tutto”, ha detto il CEO di Tesla. Di fatto, c’è da chiedersi se il vero problema dell’IA, della robotica e dell’automazione sia realmente questo. Il punto, infondo, non è tanto che la tecnologia abbia il potenziale di svolgere il lavoro che sino ad ora hanno fatto gli umani, ma che si serva di questo potenziale al fine di ignorare, invece che di ascoltare, tutti i problemi esistenti.

Nel parlare delle trasformazioni che l’innovazione tecnologica creerà nel mondo del lavoro, ad esempio, Maha Abdelraham, ha parlato del tentativo di creare lavoratori instancabili, capaci di liberare le aziende dai limiti umani, come per esempio la fatica, la stanchezza, la solitudine, lo stress fisico e mentale, il bisogno di fermarsi, di prendersi una pausa, di andare in vacanza o di scioperare. E così quando, durante la pandemia, la sospensione della normale attività produttiva ha indotto milioni di persone a denunciare le condizioni tossiche di lavoro in cui operavano, generando un numero sorprendente di fughe dal lavoro –il fenomeno delle grandi dimissioni - grandi aziende come Amazon hanno investito in robotica e automazione nel tentativo di ignorarne le rimostranze, in modo tale da sostituire i lavoratori meno disciplinati, invece di ascoltarli. Lo scopo dell’IA, della robotica e dell’automazione, in quel momento, non era rispondere ai problemi del lavoro: i turni troppo lunghi, le paghe troppo basse, la mole di lavoro crescente, eccetera. Né cambiare un modello produttivo per mantenere il quale, dicono gli scienziati, servirebbero due pianeti. Era ignorare la voce di chi lavora, senza troppe ricadute per il processo produttivo.

Una simile tendenza la vediamo nella società. Di recente, il Time ha dedicato un lungo servizio a raccontare in quale modo l’IA viene usata per lenire il senso di isolamento in cui vive una grossa parte della società. Siamo all’interno di una “pandemia di solitudine”, scriveva il Time, che si serve di chatbot per usarli come psicoterapeuti o come partner digitali. “Milioni di persone si sentono isolate, sole o hanno bisogno di qualcuno con cui parlare”, ha dichiarato al Washington Post Noam Shazeer, uno dei fondatori di Character.AI, un sito di incontri con bot digitali. E non di rado creano legami malsani con questi chatbot virtuali”, sino a svilupparne una vera e propria dipendenza emotiva. “Ricorda: Tutto ciò che i personaggi dicono è inventato!”, è il messaggio di Character AI. È uno slogan che vale per ciascuna di queste tecnologie, dai robot che troviamo nelle fabbriche alle voci virtuali che accompagnano le nostre giornate. Non esistono, ma hanno effetti diretti sul reale.

È uno strano mondo quello che ci attende nel 2024, quando finalmente una tecnologia capace di incarnare le capacità linguistiche umane cambierà ogni segmento del nostro mondo. Ci sarebbe da chiedersi quando è diventato più semplice creare chatbot in grado di offrire un surrogato di conforto un’umanità sola, piuttosto che ricominciare a parlarci. O produrre robot a cui affidare la produzione piuttosto che ascoltare in quale modo sarebbe saggio cambiare le condizioni di lavoro. Ma evidentemente è una domanda troppo difficile.

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Francesca Coin

RSI Cultura 25.10.2023, 21:55

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