Ventiquattro ore di sciopero delle donne e delle persone non binarie il 24 ottobre in Islanda contro il gender pay gap. All’astensione dal lavoro prende parte anche la primo ministro Katrín Jakobsdóttir. Si tratta del primo sciopero di questo tipo da 50 anni a questa parte.
Le organizzatrici sperano che le manifestazioni previste portino la società a riflettere sulle differenze salariali dovute al genere e sulla diffusa violenza sessuale nel Paese. Tra i partecipanti confermati le lavoratrici dell’industria della pesca, insegnanti, infermiere. L’ultimo sciopero femminile di un’intera giornata in Islanda risale al 1975, quando il 90% delle donne islandesi si rifiutò di lavorare nell’ambito del “kvennafrí” (giorno di riposo delle donne), portando a cambiamenti cruciali, e preconizzando l’elezione a premier di Vigdís Finnbogadóttir.
Il gender pay gap in Islanda
Il gender pay gap, ovvero la differenza salariale di genere, è un problema diffuso in molti Paesi del mondo. La portata e la gravità del problema possono variare da Paese a Paese e da settore a settore e dipende da fattori culturali, sociale ed economici. Alcune nazioni hanno fatto progressi significativi per ridurre il gender pay gap, mentre in altri stati questa disparità retributiva è ancora molto marcata.
Tra i Paesi più all’avanguardia, per quanto riguarda la parità di genere, c’è sicuramente l’Islanda: da 14 anni consecutivi è infatti il miglior paese al mondo per la parità di genere nella classifica del World Economic Forum.
Se parliamo di divario salariale tra uomo e donna, nel corso del tempo il Paese ha fatto molti sforzi e ha applicato diverse misure per ridurlo sempre di più. Ma quando e come è partito questo processo?
Lo sciopero del 1975
La prima vera svolta avviene con lo sciopero del 24 Ottobre 1975. A partire da questa data si forma in Islanda un vero movimento popolare che lentamente inizia a cambiare la società. Circa il 90% delle donne islandesi partecipa allo sciopero, proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza del loro lavoro per la società e l’economia, protestando contro la disuguaglianza salariale. Per l’intera giornata le donne non vanno a lavorare e non si occupano della casa o dei figli.
Il risultato si nota immediatamente: cinque anni dopo lo sciopero, Vigdís Finnbogadóttir è la prima presidente donna eletta democraticamente al mondo.
Le donne iniziano a ottenere più visibilità in ambito politico: anche la loro presenza in Parlamento e nella pubblica amministrazione aumenta. Seguono poi diversi cambiamenti politici.
Nel 1981 l’Islanda approva una legge che garantisce alle lavoratrici 3 mesi di congedo maternità pagato. Nel 1988 viene esteso a 6 mesi. Sicuramente un passo significativo per garantire alle madri il tempo di potersi prendere cura dei figli senza perdere il proprio stipendio.
Ma per quanto la legge sia progressista, incoraggia le madri a stare a casa, mentre i padri continuavano a lavorare, rinforzando le norme culturali alla base del gender pay gap: sono soprattutto le donne a dover pensare alla cura della casa e dei figli. Quindi l’Islanda attua un’altra mossa.
Arriva il Congedo parentale condiviso
Nel 2000, l’Islanda diventa uno dei primi Paesi al mondo a introdurre un sistema di congedo parentale condiviso tra padre e madre.
Cosa significa esattamente? Ogni genitore ha 3 mesi di congedo garantito. Se uno dei due decide di non usufruirne, questi mesi vengono persi perché non trasferibili all’altro genitore. Inoltre, i due genitori possono decidere chi beneficia dei restanti 3 mesi: né il padre né la madre si assentano dal lavoro per più di 6 mesi, percependo circa l’80% del loro salario.
Con questo sistema, le donne che decidono di avere figli non sono “penalizzate” agli occhi del datore di lavoro. Inoltre, ha fatto la differenza per gli uomini islandesi. Oggi, i padri delle generazioni più giovani sono infatti consapevoli di poter prendere del tempo per stare con i figli appena nati, proprio come le madri.
Nel 2018 l’Islanda compie un altro primato mondiale
Entra in vigore una legge che prevede che, ogni 3 anni, tutte le aziende con almeno 25 dipendenti impiegati a tempo pieno devono certificare al governo di pagare lo stesso stipendio a uomini e donne che svolgono le stesse mansioni.
Grazie a tutte queste misure, il gender pay gap in Islanda degli anni si è ridotto e continua a ridursi.
Questa nazione ha quindi dimostrato che ridurre il divario salariale basato sul genere è possibile, anche se sono senza dubbio necessarie politiche innovative e sforzi continuativi.
Le rivendicazioni attuali
Sebbene ci siano stati altri scioperi delle donne ispirati kvennafrí del 1975, quello di oggi è il primo evento sull’arco di un’intera giornata. La mobilitazione si prevede massiccia: a eccezione dei servizi essenziali garantiti, gran parte delle attività dell’isola si fermerà, trasformando la rivendicazione nel più grande sciopero delle donne mai organizzato in Islanda.
Nonostante l’Islanda sia da 14 anni consecutive al primo posto della classifica del World Economic Forum per la lotta al gender gap, le organizzatrici dello sciopero denunciano una situazione ancora di sperequazione: “L’Islanda viene descritta come il paradiso della parità – dice Freyja Steingrímsdóttir, una delle portavoce della mobilitazione -, ma un paradiso della parità non dovrebbe avere un gap salariale del 21% e registrare il 40% delle donne che hanno subito abusi sessuali”.
Marialuisa Parodi (2./5)
In altre parole 24.10.2023, 08:18
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