Se quando parliamo di bilinguismo in Svizzera parliamo di una realtà consolidata, e il mondo scientifico concorda sui vantaggi di coltivare due idiomi in famiglia, nel quotidiano i tentativi in questo senso devono fare i conti con un pessimismo che seppur in diminuzione, persiste. Studiosi e neurolinguisti ci hanno rassicurato sui benefici cognitivi che questa pratica comporta, tuttavia resistono alcuni timori, come quello che possa causare ritardi nell’apprendimento dei bambini o che riduca le possibilità di parlare le lingue in modo corretto. E sono molte le famiglie che in passato, soprattutto nel contesto di immigrazione dall’Italia verso le aree industriali e urbane della Svizzera tedesca e francese, hanno scelto di sacrificare l’italiano nel contesto domestico a favore della lingua di adozione. Ma cosa comporta rinunciare a una forma di narrazione che coincide con le origini, con le radici, con la propria identità? Un parlare che attiene alla storia della famiglia, alla sfera emotiva, al vissuto dei genitori, ai parenti con cui non si può più comunicare? È quello che racconta Christina Le Kisdaroczi nel volume La voce nascosta. Alla ricerca della lingua madre - con prefazione di Anna Felder, Dadò 2022 - che raccoglie lo scambio di lettere con la mamma, Graziella, e l’insegnante di italiano, Alessandra Vitali. È infatti la storia di quella voce interiore che fin da bambina le parlava in italiano chiedendole di potersi esprimere, e che l’ha spinta, a 55 anni, a prendere lezioni per imparare la lingua materna, in un percorso che le ha permesso di ri-conoscere quella parte di sé che le è sempre mancata, e che la aveva fatta sempre sentire esclusa, e “incompleta”.

Ne parliamo con le autrici, Christina Le Kisdaroczi e Alessandra Vitali, con il linguista locarnese Ariele Morinini, e con Sabine Christopher dell’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana