Approfondimento

Il miliardario svizzero che aiuta gli elefanti

In Kenya, la Wyss Academy For Nature investe in progetti di protezione dei pachidermi e per combattere la desertificazione, con un obiettivo ambizioso: ripensare l’aiuto allo sviluppo

  • 31 agosto, 07:42
  • 31 agosto, 07:42
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Le vie di migrazione degli elefanti sono sempre più spesso interrotte

  • Keystone
Di: Valerie Thurner (swissinfo.ch)/sf 

La stele di cemento dovrebbe essere nella foto, ma la scritta “Wildlife and Livestock Corridor” è praticamente illeggibile, con pezzi rotti ovunque. “I bambini e le capre l’hanno vandalizzata” dice Benjamin Loloju ridendo. Originario del nord del Kenya, lavora da anni per l’ONG Save The Elephants.

È un caldo di mezzogiorno di un giorno di aprile e le nuvole si accumulano all’orizzonte, come racconta un articolo di swissinfo.ch. È la stagione delle piogge e la savana è insolitamente verde. Le ultime grandi distese ininterrotte di savana del Paese si trovano a nord del monte Kenya, ma anche queste sono minacciate dai progetti di grandi infrastrutture, come vie di comunicazione e insediamenti.

Gli ingegneri della natura

Le costruzioni si moltiplicano lungo la grande arteria che collega la capitale regionale di Isiolo e la frontiera etiope. Manca una pianificazione del territorio, ma per permettere agli elefanti di sopravvivere, gli ecosistemi degli altipiani attorno al monte Kenya e le savane devono restare collegati.

“Gli elefanti sono gli ingegneri dell’ecosistema” afferma Loloju. I pachidermi coprono centinaia di chilometri nelle loro migrazioni e disseminano diverse specie vegetali su un vasto territorio con i loro escrementi. In linea generale, dove vivono gli elefanti, la biodiversità non se la passa troppo male, e il suolo resta più fresco in una savana in buona salute.

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Per Benjamin Loloju gli elefanti sono gli ingegneri dell'ecosistema

  • Valerie Thurner/swissinfo.ch

Save The Elephants ha otto lingue di terra di un diametro di circa 300 metri. Si tratta di corridoi attraverso i quali elefanti e altri animali selvatici possono continuare a spostarsi indisturbati, superfici sulle quali non saranno costruite case.

I finanziamenti arrivano anche dalla Svizzera: la Wyss Academy For Nature cofinanzia il programma e collabora nella protezione delle ultime vie migratorie per gli elefanti ancora aperte nell’Africa orientale.

Uno degli svizzeri più ricchi

La Wyss Academy For Nature si impegna niente di meno che in un “nuovo rapporto con la natura”.  Il centro di ricerca all’interfaccia tra clima, sfruttamento del paesaggio e protezione della biodiversità è stato fondato quattro anni fa dall’imprenditore svizzero Hansjörg Wyss, in collaborazione con l’Università di Berna.

È attiva in quattro regioni nel mondo con l’obiettivo di promuovere strategie locali per proteggere la natura e le persone. Conoscenze locali e accademiche vengono combinate nel quadro di progetti di ricerca partecipativi, allo scopo di cercare soluzioni aperte che siano meno determinate dai Paesi occidentali.

Wyss, che ha 88 anni e vive negli Stati Uniti, è cresciuto a Berna e ha lavorato per grandi aziende come Chrysler e Monstanto, rima di acquisire una partecipazione nella filiale americana del produttore di impianti ossei Synthes. Ha ristrutturato l’azienda e ha venduto le sue azioni a Johnson & Johnson nel 2011 per miliardi.

Negli ultimi anni si è fatto un nome come mecenate e ha acquisito la squadra di calcio londinese Chelsea.

Le “mamme” degli elefanti

Christine Lekiluai, Evaline Lesuuper e Esther Lenakwawi hanno esperienza nel trattare con i media. Accettano incontri con la stampa a una tariffa di 8 franchi a testa. Durante il breve tragitto dal punto di incontro sulla strada che attraversa l’entroterra cespuglioso, si infilano le loro tradizionali collane fatte di perline di vetro.

Le tre donne fanno parte dei Samburu, popolazione nilotica del nord del Kenya. Lavorano come “Mama Tembo” per Save The Elephants. Tembo significa “elefante” in swahili, la lingua locale.

In totale, 16 donne documentano i movimenti degli animali d’allevamento e selvatici, così come incidenti tra umani e animali, negli otto corridoi tra le zone protette nel nord del monte Kenya grazie a una app.

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Christine Lekiluai (sinistra) and Evaline Lesuuper lavorano come “Mama Tembo”

  • Valerie Thurner/swissinfo.ch

“Pattugliamo quattro volte alla settimana e diffondiamo il messaggio di salvaguardia degli animali nelle nostre comunità”, spiega Lesuuper all’ombra di un’acacia. Durante l’ultima siccità, per esempio, un giovane elefante si era avvicinato troppo a un villaggio e i bambini hanno cominciato a provocarlo. “Abbiamo convocato una riunione per spiegare alle madri che i figli avrebbero dovuto smettere”.

Negli ultimi anni, le Mama Tembo hanno sensibilizzato la comunità, sostenendo ad esempio che gli animali selvatici sono benefici, visto i redditi che portano. “Amo questo lavoro e amo gli elefanti, come gli animali d’allevamento, sono ugualmente importanti” afferma Lekiluai.

Uno spazio vitale condiviso

Il dilemma dello sviluppo nei Paesi del Sud del mondo si riassume nel sapere chi paga il prezzo della crescita economica. A essere colpiti dagli effetti del cambiamento climatico sono spesso coloro che con il loro stile di vita hanno contribuito di meno all’effetto serra e all’estinzione degli animali: le popolazioni indigene delle ultime foreste vergini dell’America del Sud e del Sud-Est asiatico, o proprio i popoli nomadi dell’Africa orientale.

È ironico che ai Samburu, che tradizionalmente vivono in coesistenza con gli animali della savana e considerano gli elefanti come spiritualmente pari agli umani, venga spiegata l’importanza della protezione dei pachidermi.

A differenza dai luoghi comuni su una natura vergine, le savane sono paesaggi coltivati: il 70% degli animali selvatici in Kenya vivono all’esterno delle zone protette e condividono il territorio con le popolazioni locali.

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Un accampamento in un corridoio per gli elefanti a nord del monte Kenya

  • Valerie Thurner/swissinfo.ch

Lo stile di vita delle popolazioni pastorali del Kenya settentrionale si è adattato da secoli a paesaggio, animali selvatici e piante. Al ritmo delle stagioni secche e piovose, seguono i corsi d’acqua, le sorgenti e i pascoli.

È solo dopo la federalizzazione del Kenya nel 2010 che lo sviluppo del vasta regione settentrionale ha cominciato a prendere ampiezza. Vie di comunicazioni tra i depositi petroliferi e la costa dell’Oceano Indiano, così come la conseguente urbanizzazione, hanno tagliato le vaste pianure e quindi gli habitat dei grandi animali e i pascoli.

Allo stesso tempo anche le secche savane a nord del monte Kenya sono sotto pressione. Solo una pianificazione territoriale ancorata nella legge e delle regole sull’uso dei terreni possono salvare le via migratorie degli elefanti e la cultura delle popolazioni pastorali.

Le zone protette non sono una soluzione

Le vie migratorie degli animali selvatici attorno al monte Kenya sono state interrotte dagli allevamenti di bestiame ai tempi della colonizzazione britannica, più di cento anni fa. Da allora, molte fattorie sono state trasformate in zone protette per le specie in pericolo. Sono recintate e limitano quindi i pascoli per gli allevatori.

Andreas Heinimann è convinto che la convivenza tra popolazioni pastorali e animali selvatici è essenziale per il futuro del paesaggio. Delimitare delle zone di protezione delle specie non è sufficiente, secondo lo scienziato della Wyss Academy e dell’Università di Berna, che studia i sistemi terrestri e la biodiversità e coordina lo sviluppo delle tre sedi della Wyss Academy For Nature nel sud del mondo.

Ritiene che siano necessarie entrambe le forme. “Quello che volevamo dimostrare con le nostre ricerche negli ultimi anni è che la somma di tutti i servizi ecologici è spesso più elevata nei paesaggi multifunzionali a piccola scala che nel “landsparing”, dove le zone protette sono separate da grandi superfici coltivate a monocoltura”.

La condizione del miliardario

La Wyss Academy condivide l’idea che gli approcci integrativi siano essenziali per la protezione delle popolazioni e della biodiversità. Hansjörg Wyss ha messo 100 milioni di franchi a disposizione dei tre centri di competenza in Perù, Laos e Africa orientale su 10 anni. La condizione posta dal miliardario è che le autorità bernesi e l’Università della città mettessero a disposizione 50 milioni per perseguire progetti scientifici nel Canton Berna.

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Lo scorso maggio Hansjörg Wyss ha ricevuto la cittadinanza onoraria dalla Città di Berna

  • Keystone

La Wyss Academy ha una missione ambiziosa: decentralizzare la ricerca applicata. L’istituzione si considera come un mediatore tra le iniziative dei cittadini e le ONG. Vuole essere un catalizzatore di cambiamenti positivi, come la conservazione degli habitat minacciati e il miglioramento sociale nel sud del mondo.

Per il Canton Berna si tratta di un progetto prestigioso per posizionare l’università come un centro di eccellenza di fama internazionale per la ricerca interdisciplinare. O come dice Heinimann: «L’Università di Berna è riuscita a convincere il filantropo che la ricerca può dare un contributo significativo affinché l’uomo e l’ambiente ne traggano pari beneficio».

Dal pascolo al deserto

Un po’ più a sud del corridoio degli elefanti, nel villaggio di Kimanjo, l’imprenditore Emanuel Miliko sta cercando modi per promuovere lo sviluppo sociale a beneficio della popolazione Masai nell’area di conservazione di Naibunga. Si trova all’estremità settentrionale dell’altopiano di Laikipia, a tre ore di macchina dal capoluogo di provincia Nanyuki, ai piedi del monte Kenya.

Durante la stagione delle piogge, le strade sterrate sono in uno stato desolato. Le erosioni peggiori vengono temporaneamente riempite con cespugli e sacchi di sabbia in modo che restino percorribili. Miliko guida un gruppo di giovani uomini e donne chiamati Green Earth Warriors. Sono loro la forza trainante dietro un progetto di rigenerazione del territorio su larga scala innescato dalla siccità degli ultimi tre anni.

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Emanuel Miliko cerca possibilità di sviluppo economico per la popolazione Masai nell’area di conservazione di Naibunga

  • Valerie Thurner/swissinfo.ch

I periodi più lunghi di siccità, causati dalla crisi climatica, seguiti da forti precipitazioni peggiorano l’erosione del suolo, a volte già sottoposto a pascolo intensivo. L’erosione peggiora, così come la penuria di acqua, in un circolo vizioso.

Dall’alto la desertificazione del paesaggio nel nord del Kenya è evidente a occhio nudo, come nella regione protetta della comunità Naibunga. “I nostri modelli climatici prevedono che lo stress termico aumenterà al punto che la regione settentrionale del Kenya diventerà praticamente inabitabili” avverte Heinimann.

Si tratta di sviluppi locali con conseguenze globali: quasi un terzo della capacità globale di stoccaggio di CO2 deriva dai pascoli. Secondo un rapporto della Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione, la metà dei pascoli mondiali, come le steppe e le savane, sono in uno stato disastroso. Solo alcune erbe vi crescono e i cespugli invasivi si diffondono, il suolo secca e il territorio si sta trasformando in un deserto.

Una soluzione semplice

La commissione di specialisti dell’ONU consiglia di preservare e promuovere la pastorizia in modo da proteggere i pascoli.

In Kenya però la fiducia della popolazione in autorità e organizzazioni private è stata distrutta nel corso dei decenni da una marginalizzazione sistematica e molte promesse vuote.

La Wyss Academy vuole evitare questi errori e mira a lavorare assieme a popolazione, università e altre ONG. Ad esempio, l’ONG Justdiggit, che è considerata pioniera in materia di restaurazione partecipativa delle terre in Africa. Utilizza tecniche e campagne collaudate nel tempo a livello globale per il ripristino del territorio attraverso metodi basati sulla natura. Vengono creati cumuli di terra a forma di mezzaluna, in cui vengono piantati erba e alberi della savana. Grazie a dei fori, l’acqua penetra attraverso il terreno essiccato negli strati più profondi che possono immagazzinarla.

Le spiegazioni sul metodo usato da Justdiggit (in inglese)

Per Miliko sembrava una favola. “Mi chiedevo come avremmo potuto scavare con delle pale in questo terreno, che dopo tre anni è duro come cemento dopo tre anni di siccità”.

Ma nel Sahel il metodo è collaudato da secoli. Justdiggit ha partnership in Tanzania e Kenya, e un’ampia base di donatori. L’idea è arrivata ai Green Earth Warrios attraverso la sede dell’Africa orientale della Wyss Academy. E così nel giro di due anni sono state scavate 5’000 mezzelune.

Funghi commestibili ed escrementi di elefanti

Soluzioni monodimensionali non aiutano però sul lungo termine, perché più pascoli attirano più bestiame e il circolo vizioso continua. Sono quindi necessarie soluzioni alternative all’allevamento di animali da reddito.

Ecco perché la Wyss Academy in Kenya incoraggia già la produzione di gomma arabica nel quadro di progetti pilota, così come la coltivazione di funghi commestibili che crescono sugli escrementi degli elefanti, un nuovo metodo sviluppato in collaborazione con ricercatori del Museo nazionale del Kenya.

 Miliko e i suoi Green Earth Warriors hanno grandi speranze per i funghi, ma hanno meno pazienza della fondazione. “Continuo a ricevere richieste da gente a Naibunga che vogliono fare lo stesso, ma per il momento non ho i fondi per espandermi” spiega.

La Wyss Academy è cosciente dell’urgenza, ma spiega che il progetto è ancora in una fase di test. Restano ancora diversi problemi da risolvere, come l’accettazione da parte del pubblico o come produrre i funghi con meno risorse. “Ci vuole tempo per fare le cose come si deve” sottolinea Heinimann.

In Kenya si sente spesso dire: “Gli europei hanno i soldi, noi abbiamo il tempo”. Ma anche questa risorsa si fa più scarsa nel nord del Paese.

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