È agosto 2023 quando il luogotenente Giuseppe Conigliaro decide di impiccarsi a bordo della nave Dattilo della Guardia Costiera italiana. Valerio (nome di fantasia), anche lui soccorritore, lo dice chiaramente: «Non ci sentiamo tutelati e questo mette in pericolo sia noi sia le persone che salviamo in mare». È una sensazione diffusa tra il personale, che non emerge a causa della struttura militare fatta di gerarchie e mobbing.
Punizioni e umiliazioni vengono inflitte agli equipaggi non solo dai capi, ma anche dal personale della CMO (Commissione Medica Militare). Il più delle volte gli psicologi militari alimentano un clima di tensione, dimostrando la quasi totale assenza di una tutela psicologica per i soccorritori. A ciò si aggiungono le pressioni della politica in tema migratorio, che contribuiscono a minare la salute mentale di chi dovrebbe occuparsi dei salvataggi. Nell’ultimo decennio la priorità politica si è spostata sempre più sul controllo delle frontiere a scapito del soccorso, ostacolando la Guardia Costiera nello svolgimento del suo compito primario. Si arriva a un cortocircuito: chi dovrebbe salvare vite pensa di rinunciare alla propria.
L’inchiesta è stata realizzata con il supporto dell’Associazione Amici di Roberto Morrione