Il punto

La foresta del Darien, un business per i trafficanti

I migranti, sempre più numerosi, rischiano la vita nella foresta pluviale tra Colombia e Panama per raggiungere gli Stati Uniti

  • Oggi, 11:28
  • 2 ore fa

Record di migranti a Panama

Telegiornale 29.06.2024, 20:00

Di: Laura Daverio

L’unico luogo in cui si interrompe la Panamericana, rete di strade che parte dall’Alaska e termina in Argentina, è la foresta del Darién. Al confine tra Colombia e Panama, ricopre una superficie di 17’000 metri quadrati tra fiumi, fitta foresta pluviale, montagne ed è considerata una regione estremamente inospitale.

Nonostante i pericoli, in pochi anni è diventato un punto chiave per la migrazione mondiale verso gli Stati Uniti. Nel 2019 il numero di persone che lo hanno attraversato era di 24’000. Solo 4 anni dopo è salito a 520’000 e nei primi 5 mesi di quest’anno sono arrivati quasi 180’000 persone. Tra questi numeri si guarda con preoccupazione alla crescita annuale del 40% di bambini, perché questo è il percorso più pericoloso del cammino verso gli Stati Uniti. E come tutto per i migranti, anche il passaggio deve essere comprato. Il Darién è controllato dal crimine organizzato che, dal lato colombiano, decide da dove si può entrare e con quali mezzi. Da questo dipende la sicurezza della traversata. Ma non è una garanzia. Queste foreste sono pericolose a partire dalle condizioni naturali, dal caldo, alle piogge torrenziali, alle piene di fiumi, ma anche da malattie e attacchi di animali selvatici. Ci sono poi sono i criminali, che qui operano con impunità.  I migranti vengono assaltati, derubati, rapiti, alcuni vengono uccisi. Le violenze sessuali non sono solo comuni, ma anche in aumento. Nel 2023 l’organizzazione Medici senza Frontiere ha prestato attenzione medica a oltre 676 persone vittime di violenza sessuale, ma quest’anno in una sola settimana, a febbraio, ne ha registrate 113.

Non solo dall’America Latina

L’infiltrazione del traffico internazionale è evidente anche nel numero di nazionalità di migranti che stanno arrivando, che non si era viste in passato. Se la maggior parte sono della regione, soprattutto Venezuela, Ecuador, Haiti e Cuba, l’anno scorso le autorità migratorie nel Darién hanno registrato oltre 100 nazionalità. I cinesi, per esempio, hanno cominciato ad arrivare l’anno scorso e sono diventati rapidamente uno dei principali gruppi.

Mentre si discute come aiutare i migranti a casa loro, perché trovino alternative locali alla scelta di migrare, prevalgono politiche punitive e una visione a breve termine. A partire dagli Stati Uniti, il sogno di ogni migrante. Il tema migratorio è uno degli argomenti chiave della campagna presidenziale statunitense, e in questo clima si promettono soluzione sempre più radicali. L’ultima restrizione introdotta dall’amministrazione Biden è un blocco di tutte le entrate illegali sopra le 2’500 giornaliere, indipendentemente dalla condizione di potenziale pericolo dietro la richiesta dell’asilo. In media le entrate si aggirano intorno ai 3’000, con picchi fino a 10’000.

Pressioni politiche seguono in tutta la regione, con l’intento di fermare i migranti lungo il cammino. E questo spesso include guardare dall’altra parte di fronte ad abusi, che implicitamente vengono visti come deterrenti. José Raúl Molino, presidente panamense eletto lo scorso maggio, ha dichiarato di voler chiudere il passaggio del Darién. È un proposito che presupporrebbe un investimento difficile da immaginare in un paese impegnato a riavviare un’economia stagnante e affrontare una profonda crisi ambientale, ma potrebbe indicare un nuovo irrigidimento delle politiche.

La realtà, però, è che il numero di migranti continua ad aumentare, nonostante anni di politiche per contrastare il fenomeno. Non sono solo le cause all’origine, che di per sé sono già enormi sfide, dalle devastazioni provocate dagli effetti dei cambiamenti climatici, alla violenza fino all’estrema povertà. La migrazione è un enorme business e la criminalità organizzata è riuscita a prenderne un controllo capillare. E questo porta a una maggiore “efficienza” nell’organizzazione del tragitto migratorio, cominciando da campagne di disinformazione su condizioni di viaggio e possibilità di successo, lontane da una realtà di pericoli e insicurezza.

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