Approfondimento

Tramonta l'India, sorge Bharat

Al G20 di Nuova Delhi Narendra Modi ha presentato la nazione con un nuovo, significativo nome. Cosa si cela dietro? Fame di grandezza? Le considerazioni di un esperto

  • 16 settembre 2023, 08:13
  • 16 settembre 2023, 08:40
Bharat

È il nove settembre 2023: al G20 di Nuova Delhi il primo ministro Narendra Modi si presenta come il rappresentante di "Bharat", non dell'India

  • Keystone
Di: Lorenzo Perren

È il nove settembre e a Nuova Delhi lo sfarzoso centro congressuale Bharat Mandapam apre le proprie stanze, accogliendo i leader delle maggiori potenze industriali del mondo, il G20. I capi di Stato prendono ordinatamente posto dietro i cartellini loro assegnati. Francia, Italia, Canada, Regno Unito... Si leggono i soliti nomi.

Ma l'etichetta dietro cui siede Narendra Modi, primo ministro della nazione ospitante, reca un titolo inusuale; non si trova India, come ci si aspetterebbe, ma “Bharat”, l'antico nome hindu dello Stato.

Una modifica innocua? Un espediente per ingraziarsi gli elettori del BJP, il partito del premier dall'evidente e dichiarato orientamento hindu-nazionalista? Oppure un segnale nascosto per le potenze estere, il cui significato è un'implicita dichiarazione di grandeur?

Domande che sottendono la questione, molto discussa in India e nelle alte sfere delle diplomazie mondiali, dell'Akhand Bharat; l'India Indivisa. Ma che cos’è l'Akhand Bharat? È il sogno, manifesto e più volte proclamato, del Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un'organizzazione paramilitare di estrema destra profondamente radicata nella storia dell’ultimo secolo indiano. A farne parte anche il Bharatiya Janata Party (BJP), il partito di Modi.

L'Akhand Bharat è una fantomatica regione territoriale che si allunga dall'Afghanistan fino ai confini della Birmania, inglobando parti del Nepal, del Tibet, l'intero Sri Lanka e l'Afghanistan. Un'India gigantesca, la cui raffigurazione plastica è incisa su una delle pareti del nuovo palazzo parlamentare, inaugurato lo scorso maggio dallo stesso Governo Modi.

Molti Paesi hanno chiesto a Modi delucidazioni riguardo al murale - come l'ex primo ministro nepalese nel tweet qui sopra -, ma attualmente le domande non hanno ancora ricevuto risposta.

E quindi? Cosa aspettarsi dalla “più grande democrazia del mondo” – così più volte descritta dagli ambienti diplomatici statunitensi – che solo due anni fa, si era definita “un importante fornitore di sicurezza” nella regione dell’Oceano Indiano, impegnata per la pace “per i nostri partner e amici”?

India; qualche dato

L'India è lo Stato più abitato al mondo, con una popolazione stimata attorno ai 1,4 miliardi di persone. Quinta economia mondiale, ha chiuso il 2022 - lo riporta il Fondo monetario internazionale - con un PIL di 3'534 miliardi di dollari. Guardando al PIL pro capite, l'India scivola rapidamente in 143esima posizione, con 2'515 dollari a persona. Anche rispetto all'indice di sviluppo umano (HDI) la Nazione non eccelle, posizionandosi 132esima su 191 Stati. A livello di effettivi le forze armate indiane contano circa 3,5 milioni di soldati, tra attivi e riservisti: è il secondo esercito per grandezza al mondo e vanta un ampio arsenale di armi nucleari (164 secondo le stime 2023 della Federazione degli scienziati americani).

Bharat al G20: un messaggio per le potenze straniere o un segnale per l'elettorato indiano?

"In realtà la mossa di Modi ha un'impostazione doppia: da una parte guarda all'elettorato del BJP, il partito del premier; dall'altra è un avvertimento per l'opinione pubblica internazionale". Così commenta la manovra Diego Abenante, professore di storia e istituzioni dell'Asia presso l'Università di Trieste. "Rispetto alla linea domestica, il nome Bharat riprende la tradizione cara al partito di Modi: trasformare cioè l'etica del nazionalismo indiano in un nazionalismo hindu. Questo naturalmente rientra perfettamente nel solco politico del BJP e l'idea del Bharat è un'ovvia continuazione dell'ideologia del partito".

A questo riguardo, è bene ricordare la variegata composizione etnico-religiosa dell'India. Nel Paese esiste una quantità considerevole di minoranze e gruppi culturali diversi. Guardando alla religione, si stima che circa l'80% della popolazione locale professi l'induismo. "Il partito di Modi guarda a questa fetta di popolazione, mentre cerca di osteggiare e limitare le forze musulmane", che coprono circa il 15% degli abitanti.

E all'estero cosa dovrebbe comunicare?

"Verso l'esterno la riappropriazione dell'antico nome indiano è una maniera per scrollarsi di dosso il peso del passato, caratterizzato da importanti e risapute interferenze estere. Ricordiamoci che fino al 1947 l'India era ancora una colonia britannica".

"Inoltre, il nome "India" è il termine con il quale il mondo greco ha storicamente definito il territorio solcato dal fiume Indo", continua il professore. "Il termine è stato poi trasmesso ai conquistatori arabo-musulmani e alle potenze coloniali europee come indicativo dell'intero sub-continente. Non è il nome con cui gli indiani indicavano la propria terra", spiega Abenante.

"Presentarsi al resto del mondo come Bharat significa riaffermare le proprie radici sullo sfondo del nuovo scacchiere internazionale. Rispetto alle forze straniere, il cambio di nome sottolinea la rinnovata forza dell'India, in grado di definire la propria identità e di affrancarsi dall'influenza occidentale. In tal senso, la mossa di Modi segnala la volontà di controbilanciare, almeno in parte, l'egemonia mondiale dettata dall'agenda USA ed europea".

Modi, Bali 2022, G20

Il primo ministro Narendra Modi al G20 di Bali, nel 2022, quando s'identificava la sua patria ancora sotto il nome di India

  • Reuters

Bharat non si riallaccia quindi necessariamente alla grande India indivisa? Parlare di espansionismo territoriale sarebbe quindi sbagliato?

"Sì; sarei piuttosto cauto al riguardo e io non parlerei in questi termini" precisa subito il professore. "Bisognerebbe vedere il gesto più che altro come un tentativo di affermare l'India come potenza egemone a livello regionale: vedrei Bharat come la volontà di fondare una rete di stati satellite nella regione, con al centro l'India come leader. La ricerca dell'egemonia, in palese chiave anticinese, si vede nei conflitti (anche recenti) sul confine sino-indiano, dove entrambe le potenze lavorano per attirare gli altri Stati entro la propria sfera".

"Oppure - continua Abenante - la si vede nella maniera con cui l'India stringe i suoi rapporti commerciali. New Delhi ha recentemente approffitato della crisi economica dello Sri Lanka per costruire un rapporto privilegiato con Colombo, offrendo pacchetti finanziari per risanare i buchi. L'aiuto offerto alla "Lacrima dell'India" mirava ad ostacolare la già consolidata influenza cinese nella regione che, attraverso il progetto della nuova Via della seta, ha costruito varie infrastrutture sull'isola, come il Porto di Hambantota. In questa maniera, l'India cerca di tenersi stretta i vicini".

Hambantota, Sri Lanka, Cina

Gli operatori portuali singalesi accolgono una nave di ricerca cinese nel porto di Hambantota, in Sri Lanka, nell'agosto 2022

  • Keystone

Bharat può essere vista anche come un'alternativa al disegno della grande Via della seta?

"Sicuramente", conferma Diego Abenante. "Il governo di New Delhi non vede con favore il progetto cinese e sta cercando di sviluppare le proprie vie. Ne è un esempio il progetto dell’autostrada India-Myanmar-Thailandia approvato nel 2002. Tutto ciò rientra nella dottrina della “Look East Policy” seguita dal governo indiano, cioè il tentativo di espandere la propria influenza strategica verso l’Asia orientale in competizione con la Repubblica Popolare Cinese”, aggiunge il professore.

Ma anche verso l'Europa: "Concluso il G20, Ursula von der Leyen ha presentato un grande progetto teso a creare una rete ferroviaria e marittima che colleghi maggiormente le due realtà territoriali".

E le potenze occidentali, come vedono questa alternativa?

"Tendenzialmente con favore. L'Occidente considera l'India come l'alter ego regionale della Cina. È il suo partner favorito, perché ha delle credenziali democratiche non paragonabili a quelle cinesi. Ricordiamo infatti che, malgrado tutte le contraddizioni possibili, l'India rimane formalmente una democrazia. Una democrazia anche di fatto, con un'opposizione importante, ampia e presente. Questo è un punto di forza dell'India, che le permette di offrirsi come un grande esempio democratico nell'intero continente. Inoltre non crea quelle preoccupazioni economiche che crea la Cina; in tal senso l'India è vista come un partner più soft".

"La questione più che altro è la seguente: da una parte Modi sta cercando di costruire, sotto l'egida statunitense, una sorta di rete di democrazie asiatiche per contrastare appunto la potenza cinese. Nel medesimo tempo, tuttavia, imponendo l'antico nome hindu di Bharat, segnala l'interesse di riaffermarsi come grande potenza asiatica contro il monopolio mondiale dell'Occidente. Quindi, come allineare queste due tensioni apparentemente inconciliabili? È questo il sottile filo su cui si muoverà in futuro l'India", afferma in conclusione Diego Abenante.


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