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USA perplessi su Israele: svolta o solo retorica?

Cresce il malcontento statunitense nei confronti della gestione di Netanyahu del conflitto, ma non si vuole scontentare l’alleato

  • 16 dicembre 2023, 06:52
  • 20 dicembre 2023, 16:02
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Usa-Israele relazioni sempre più tese

Telegiornale 15.12.2023, 20:00

Di: Massimiliano Herber 

Sin dal giorno dell’attacco di Hamas, Joe Biden si è dimostrato risoluto e fedelissimo alleato di Israele. Un sostegno senza riserve che da quando sono iniziati i bombardamenti a Gaza ha visto però il presidente scivolare nei sondaggi (- 4 %), specie tra le minoranze e i più giovani dei democratici. A due mesi e mezzo da quel 7 ottobre, il clima politico non è cambiato e coloro che disapprovano la gestione del presidente nel conflitto israelo-palestinese sono passati dal 56 al 61%.

Negli ultimi giorni, a più riprese, Biden ha manifestato la sua insoddisfazione per il comportamento dell’alleato israeliano, per la mancata attenzione riservata nei confronti dei civili palestinesi e per la mancanza di strategia post conflitto.

Cosa intende fare il governo di Netanyahu quando le operazioni militari saranno finite?

“Il via libera incondizionato che l’amministrazione USA ha dato a Israele l’ha messa all’angolo. Non si è lasciato spazio per le sfumature, per una via d’uscita, per scendere dal proprio piedistallo”. È l’opinion di Khaled Elgindy, analista del think thank Middle East Institute di Washington, che nel 2007 era tra i negoziatori alla Conferenza di Annapolis.

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Khaled Elgindy, analista del think thank Middle East Institute di Washington

  • RSI

Non solo privatamente, ora Biden manifesta il suo disappunto nei confronti di Netanyahu e il consigliere alla sicurezza Jake Sullivan l’ha ribadito al premier israeliano…

“Il problema è che queste parole non sono seguite dai fatti. La realtà è che Israele prosegue questa guerra nel modo in cui vuole e non nel modo in cui Washington vorrebbe che lo facesse”.

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Jake Sullivan e il presidente Netanyahu, giovedì a Tel Aviv

  • RSI

Sin dalla visita a Tel Aviv, però, il presidente americano aveva manifestato un’attenzione nei confronti della Palestina. Vi fu l’invito a Israele a “non farsi accecare dalla rabbia”…

“Il problema è che il messaggio arrivato è stato l’esatto contrario di quelle parole. Ha detto di non lasciarsi accecare dalla rabbia, ma allo stesso tempo ha offerto a Israele tutte le armi, le risorse e il sostegno politico di cui necessitava. E quando si sono visto i risultati della “rabbia”, con le migliaia di civili uccisi a Gaza, non ci sono state conseguenze…”.

Dopo due mesi e mezzo, siamo forse ora a una svolta, perlomeno retorica, nell’atteggiamento americano?

“In sostanza, quello che dicono è ‘Non siamo a nostro agio con il modo in cui Israele sta portando avanti questa guerra, ma dipende da loro. Noi diamo loro dei consigli. Se lo accettano, bene. Se non lo fanno, va bene lo stesso’. Cambia il tono, ma questo continua a essere il messaggio americano.

Qual è, dal suo punto di vista, l’unico vero cambiamento possibile?

Quello che deve accadere è un cessate il fuoco. Non c’è soluzione militare a questa situazione. E questo sarebbe dovuto essere il messaggio degli Stati Uniti. E francamente anche dell’Europa. Un cessate il fuoco completo e la ripresa dell’assistenza umanitaria, ma pure l’annullamento della decisione israeliana del 9 ottobre di tagliare tutti gli alimenti, le medicine, l’acqua e il carburante all’intera popolazione di Gaza. È una chiara violazione del diritto internazionale”.

Eppure gli Stati Uniti e la comunità internazionale continuano a ripetere la necessità di un dialogo post-guerra, per immaginare la convivenza futura, si ripete sempre l’idea di una “soluzione a due Stati”…

“La soluzione dei due Stati gode ancora del consenso della comunità internazionale. Ma tutti sanno cosa è necessario fare per arrivare a una soluzione a due Stati. Il problema è che nessuno è stato disposto a compiere i passi necessari per arrivarci. In primis obbligare Israele a cambiare il suo atteggiamento verso i Territori. E soprattutto gli Stati Uniti non paiono disposti a pagare il prezzo politico – soprattutto domestico - di questo tipo di lavoro di convinzione”.

Quale sarà in quest’ottica l’eredita di questo conflitto?

“Quello che sta succedendo a Gaza, così come quello che è accaduto il 7 ottobre, è un cataclisma che avrà conseguenze per generazioni. E uno dei lasciti di questa guerra sarà l’indurimento del cuore delle persone. Non è immaginabile che chi è esposto a questo tipo di trauma, di dolori, di perdite e di sofferenza su base collettiva possa poi mettersi a un tavolo e partecipare a un processo di pace”.

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