"C'è qualcosa che non funziona" nel processo a Vadim Shishimarin, il giovanissimo sergente russo condannato a fine maggio a Kiev per aver ucciso un civile nei primi giorni dopo l'invasione dell'Ucraina. L'ergastolo è stato pronunciato dalla corte del tribunale distrettuale di Solomyansky di Kiev dopo tre giorni di udienza. L'imputato era reo confesso.
La riflessione sulla sentenza è di Simona Forti, professoressa di filosofia politica alla Scuola normale superiore di Pisa: "Il giudizio" - afferma - "deve essere dato da qualcuno (un organo o un giudice) super partes, un terzo che supera il conflitto (...) Di solito sono tribunali internazionali che giudicano per crimini di guerra o contro l'umanità", e a guerra conclusa.
"Ci sono due letture", afferma Forti: "La prima più simbolica significa che non importa quanti anni tu abbia o quale ingranaggio tu sia nella catena di comando, tu fai parte di un esercito aggressore che non ha legittimità nell'aggredire e come tale ti condanno. L'altra potrebbe essere quella di condannare il 21enne, che non era l'ultima ruota del carro, per poter fare uno scambio di prigionieri in seguito". Anche da parte russa si starebbe pensando a un processo di prigionieri catturati dopo il 24 febbraio, in particolare i membri del battaglione Azov arresisi a Mariupol.
"Sicuramente il processo contro Shishimarin non è un atto di ricomposizione ma non attribuirei a questo atto l’apertura di un nuovo solco", afferma la docente. A guerra finita "bisognerà davvero indagare su cosa è successo, in Ucraina e all'interno della Russia stessa".