Ci si può ammalare di social network? La risposta è sì, basti pensare che il sette percento degli adolescenti svizzeri e ben una ragazza su dieci, secondo Dipendenze Svizzera, ne fa un uso problematico. Insomma ne abusa, fino a diventarne completamente dipendente. Isolamento sociale, rabbia, depressione, alienazione, stanchezza cronica, perdita di interesse nel mondo reale, sono le conseguenze più diffuse, ma non le peggiori. In alcuni, seppur rari casi, i social media possono addirittura portare alla morte.
È quanto ha stabilito nel settembre del 2022 il medico legale di una corte londinese in merito al caso di Molly Russel, quattordicenne morta in seguito a una pratica di autolesionismo spinta all’eccesso. Una ragazzina come tante, con i problemi e le ansie comuni ai tanti suoi coetanei, afflitta da una grave depressione e, come se non bastasse, presa di mira dai social network. Al punto che Instagram e compagni, sono stati ritenuti co-responsabili di quella morte, a detta del coroner inglese, colpevoli di aver bombardato l’adolescente durante gli ultimi suoi mesi di vita con migliaia di messaggi nefasti e distruttivi.
Il padre di Molly, Ian Russell, dopo aver scoperto i numerosissimi post e video visualizzati dalla figlia prima di morire, ha lanciato una crociata contro i social network, creando una fondazione che porta il nome della figlia e girando il mondo per sensibilizzare adolescenti e genitori sui rischi delle piattaforme social e per cercare di renderle un luogo migliore, più sano e più sicuro.
Questo suo viaggio lo ha portato anche nello studio di Patti chiari, dove ha raccontato i successi ottenuti ma anche e soprattutto le difficoltà riscontrate.
La tragedia di Molly Russell è infatti riuscita a cambiare le cose? Secondo Amnesty International non è stato affatto così, l’emergenza continua. L’organizzazione punta il dito soprattutto contro TikTok, il social che impazza tra i più giovani. La piattaforma può peggiorare lo stato di salute degli adolescenti, dice Amnesty, sommergendo alcuni suoi utenti di contenuti che incoraggiano pensieri depressivi, suicidari e autolesionistici. Sul banco degli imputati c’è l’algoritmo, ovvero la logica che governa il funzionamento dei social network. I social propongono infatti contenuti confezionati su misura per ognuno, per meglio catturare il loro interesse, con un rischio però non da poco. Se per esempio l’algoritmo determina che l’utente è interessato a contenuti che parlano di suicidio, ecco che continuerà a proporgli sempre e solo quell’argomento, con conseguenze evidenti.
Ma è davvero così? Patti chiari ha voluto verificarlo creando alcuni falsi profili di minorenni per capire quali post gli verranno proposti e quali misure precauzionali i giganti del web adottano per tutelare i più giovani. I risultati sono piuttosto sconcertanti: immagini scioccanti, messaggi devastanti, video violenti, filtri facilmente aggirabili, tutto sembra essere alla facile portata dei bambini. I contenuti nefasti o comunque inadatti dei social network. L’utilizzo eccessivo, smodato, a volte compulsivo è un altro degli aspetti che preoccupano. I social media servono per comunicare, per informarsi, per distrarsi, per intrattenere relazioni a distanza, per trovare lavoro o persino per trovare un partner. Insomma per quasi ogni aspetto della nostra vita. Ma quanto tempo ci trascorriamo? Patti chiari ha verificato anche questo, andando a curiosare nei cellulari dei Ticinesi, più o meno giovani, e frugando nelle loro statistiche di utilizzo. Non è difficile trovare situazioni al limite dell’incredibile: nove, dieci, undici ore di utilizzo del telefonino al giorno, più del doppio del tempo che si dedica alla scuola, allo studio o al lavoro.
Con abitudini del genere, riusciremmo ancora a viverne senza? Una classe delle Medie di Sigirino l’anno scorso ha tentato un esperimento: una settimana intera senza telefono. Alcuni degli allievi hanno raccontato la loro esperienza a Patti chiari, le difficoltà incontrate, le piccole conquiste o scoperte.
Patti chiari ha ripetuto quell’esperimento, invitando alcuni cittadini a rimanere senza social media per un periodo: il tempo di una gita in montagna sul Monte Generoso o di un soggiorno di 24 ore in un luogo senza connessione. Sarah, informatica di professione, ha rinunciato a Whatsapp, Instagram e Facebook per un’intera settimana. Infine, un influencer nostrano, Nick Antik che di social media vive, ha provato a riassaporare il gusto della vita senza connessione telefonica soggiornando per un breve periodo nel monastero benedettino di Disentis, dove l’utilizzo del cellulare è fortemente sconsigliato. Un’esperienza di “social media detox” breve eppure piena di piccole sorprese e riscoperte.
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