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Berkeley in the Sixties: da Mario Savio al People’s Park
Laser 10.08.2021, 09:00
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A Berkeley il Sessantotto è iniziato nel Sessantaquattro.
Anzi potremmo dire che le rivolte nella più famosa università della West Coast hanno anticipato i movimenti del Sessantotto in tutti gli Stati Uniti.
Prima ancora delle marce contro la guerra in Vietnam infatti, un giovane di origini italiane, Mario Savio, divenne il leader indiscusso del Free Speech Movement, il primo atto di disobbedienza civile in un campus universitario: quello di Berkeley per l'appunto. Mario Savio è morto nel 1996, ma a raccontare la nascita del Free Speech Movement è, ai nostri microfoni la sua vedova, attivista come lui: Lynne Hollander. Dal diritto di parola, l'attenzione degli studenti di Berkeley si spostò poi anche verso altri temi e nella famosa Sproul Plaza si successero oratori del calibro di Stokely Carmichael e Martin Luther King.
Non sempre però le rivolte si conclusero pacificamente. Come è stato raccontato nel celebre film del 1970 “Fragole e sangue”, la polizia non esitò a usare la forza. Il 15 maggio 1969 è passato alla storia come “bloody thursday”. L'allora governatore della California, Ronald Reagan ordinò di stroncare le manifestazioni a Berkeley con qualsiasi mezzo possibile. Il risultato fu la morte di James Rector, oltre a decine di feriti anche gravi.
E ancora oggi a Berkeley il dibattito politico rimane una componente importante dell'ateneo, accanto ai premi Nobel, ai prestigiosi master e ai laboratori di ricerca. Lo scorso anno l'ala repubblicana dell'Università invitò Milo Yiannopoulos, un popolare blogger esponente dell’ultradestra americana, appellandosi proprio al diritto di parola rivendicato nel 1964.
A spiegarci il contraddittorio destino del Free Speech Movement sarà Lye Collen, professoressa associata di inglese a Berkeley.
Mario Savio