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Cambogia. Il genocidio che fa ancora paura
Laser 20.04.2015, 11:00
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Il 17 aprile di 40 anni fa i Khmer Rossi conquistarono Phnom Penh. Nel giro di pochi giorni, sigillarono le frontiere del paese, chiusero tutte le scuole e le università, abolirono la moneta, trasferirono a forza la popolazione delle città nelle campagne. La quasi totalità dei cambogiani fu costretta ai lavori forzati nei campi. I genitori furono separati dai figli, le mogli dai mariti, i fratelli dalle sorelle. Chi si opponeva veniva giustiziato sul posto. Tutte le persone istruite vennero uccise, perché non appartenevano alla nuova classe privilegiata, quella dei contadini. Bastava portare gli occhiali per essere classificati come "nemici della rivoluzione" e eliminati. In 4 anni morirono 2 milioni di persone. Tanti vennero uccisi con esecuzioni sommarie. Gli altri morirono di fame, di fatica, di stenti.
A 40 anni di distanza, giustizia non è stata fatta. Il tribunale speciale creato dalle Nazioni Unite per giudicare i responsabili ha incriminato solo 5 dei principali leader e ha emesso solo 3 sentenze. Gli altri ex leader dei Khmer Rossi occupano tuttora posizioni di potere. Lo stesso premier cambogiano ha trascorsi nei Khmer Rossi. E la gente ha ancora paura.
Il genocidio e la successiva guerra (terminata solo nei primi anni '90) hanno distrutto il tessuto sociale del paese. I Cambogiani sono ancora un popolo traumatizzato. Ascoltiamo le storie di alcuni superstiti del Genocidio e andiamo a visitare i luoghi-simbolo che lo ricordano. Sentiamo anche le voci delle nuove generazioni di Cambogiani: l'eredità della guerra pesa ancora sulle loro vite.