Non è facile entrare nel laboratorio segreto di un poeta, soprattutto di un poeta che utilizza la lingua dialettale, un dialetto tuttavia che non è – come di solito accade – la sua lingua materna, ma una lingua acquisita, e perciò “inventata”, nel senso latino di “ritrovare”, riscoprire, e quindi in una continua dinamica con l’italiano e il dialetto d’origine, quello genovese. È il caso di
Franco Loi, poeta, saggista e scrittore, nato a Genova nel 1930 e a sette anni trasferitosi a Milano, di cui ha abbracciato il dialetto come cifra della propria vena poetica. Ha esordito nel 1973 come poeta dialettale con l’opera “I cart”. Nel 1975 esprime la sua maturità con il poema “Stròlegh”, pubblicato da Einaudi con prefazione di Franco Fortini e critiche positive di Dante Isella. Seguono molti libri di poesia in dialetto, fino alla raccolta “L’aria”, che comprende tutte le liriche scritte tra il 1965 e il 1975. Molte altre sono le sue opere, tutte in dialetto milanese. Sarà lui stesso, in questo Laser curato da
Antonio Ria, a farci percepire in presa diretta il suo specifico linguaggio poetico e come esso nasca appunto dalla mescolanza di elementi linguistici di varia natura: gerghi, idioletti, ecc., di aria proletaria e contadina, spesso proprio reinventati dalle esigenze dell’autore.
Il poeta Franco Loi
Laser 01.10.2009, 02:00
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