A trent’anni dalla morte del poeta, traduttore e critico letterario Franco Fortini, la Rete Due ricorda la parentesi svizzera di questo protagonista della scena letteraria italiana del dopoguerra.
Il periodo vissuto in Ticino, a Zurigo, nella Svizzera interna e a ridosso della frontiera della Confederazione con la Repubblica Partigiana dell’Ossola, segnano in modo importante la vita e la produzione letteraria e critica, oltre che il pensiero politico di Franco Fortini.
Il suo spirito libero, la sua impostazione radicale di sinistra, laica e sociale, si sviluppano proprio nel confronto con gli esuli italiani a Zurigo, con la frequentazione della famiglia del pastore valdese per i riformati italofoni Alberto Fuhrmann, che ospitava musicisti, artisti, imprenditori visionari (tra cui Adriano Olivetti, che gli offrirà un impiego nella sua fabbrica di Ivrea nel dopoguerra), letterati della vita culturale zurighese. Inizia a collaborare con il periodico italiano di Zurigo “L’avvenire dei lavoratori” dove si dedica alla saggistica – l’archivio del giornale conserva ancora gli scritti su Benedetto Croce e Giovanni Gentile - primo passo di una esperienza che lo accompagnerà per tutta la vita.
Franco Fortini conserverà sempre una impronta della vita trascorsa lontano dall’Italia. Lui nato a Firenze, figlio di un affermato avvocato ebreo (il suo cognome è Lattes, userà lo pseudonimo Fortini a partire dal 1941), conoscerà nell’edificio “Francesco Soave” di Bellinzona, trasformato in campo di internamento, la severità delle condizioni di vita dei profughi e la difficoltà nell’adattarsi a realtà diverse da quelle che conosceva.
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