Le ferrovie libanesi sono una metafora del paese, la loro storia rivela quel continuum tra sogni di gloria e divisioni interne che spiega anche il presente. Oggi, il Libano non ha nessuna infrastruttura su rotaia e tutto il trasporto collettivo è affidato a piccoli bus (i "service"), gestiti dai gruppi di potere locali che fanno capo alle diverse confessioni che controllano il paese. Le conseguenze ambientali di un trasporto che avviene interamente su mezzi a benzina è devastante, mentre il “diritto allo spostamento” è stato una delle rivendicazioni dei più recenti movimenti di protesta.
Eppure, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, il Libano visse una stagione di grandi investimenti ferroviari, prima per ottenere una pacificazione interna nel quadro dell'impero ottomano, poi per la competizione coloniale tra francesi e inglesi, con il mercato della seta sullo sfondo. Il risultato fu una linea ferroviaria che connetteva Aleppo, Homs, Tripoli, Beirut e Damasco e che si diramava verso Tiro, con soluzioni tecnologiche del tutto innovative per l'epoca. Oggi, tra progetti visionari e promesse di investimento europeo, di quelle ferrovie rimangono alcune centinaia di metri di binari arrugginiti, locomotive a vapore abbandonate (parecchie svizzere) e alcune antiche stazioni. Negli ultimi anni sono stati molti i tentativi di rilanciare il progetto di una linea su rotaia per collegare Tripoli, a nord, con Tiro, a sud, passando per le più importanti città del Paese, ma non se n'è mai fatto nulla per divisioni settarie, interessi costituiti e corruzione endemica.
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