Il dramma, per molti la vergogna, ma anche la svolta: una presa di coscienza pagata a caro prezzo da cui si sono sviluppate le norme riguardanti la sicurezza sul lavoro che oggi conosciamo. E’ il tardo pomeriggio del 30 agosto 1965 quando una massa di due milioni di metri cubi si stacca dal ghiacciaio Allalin, andando a travolgere le baracche degli operai che lavoravano alla costruzione della diga di Mattmark (alto Vallese). E’ la più grave catastrofe mai registrata in Svizzera nel ramo edile: 88 morti, di cui 56 italiani (molti dei quali bellunesi) e 23 svizzeri.
Il procedimento penale aperto a suo tempo, secondo diversi media italiani una vera e propria farsa, si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati in primo e secondo grado. In sostanza venne stabilito che la tragedia non fosse assolutamente prevedibile. Si trattò di processi quantomeno controversi: per i loro tempi e per l’approccio delle autorità.
A 50 anni dalla tragedia di Mattmark molte cose sono cambiate, dalla sicurezza sui cantieri alla tutela dei lavoratori dopo gli incidenti, passando per il rispetto e la dignità degli operai immigrati, tutt’altro che scontati ai tempi della catastrofe. Passi da gigante accompagnati però da nuove sfide che in qualche modo, ancora oggi, si legano alla sicurezza nel mondo del lavoro e all’integrazione degli stranieri.
Con un occhio rivolto al passato e un altro al presente, come vanno affrontate queste sfide? Modem ne parla con: Toni Ricciardi (storico delle migrazioni all’Uni di Ginevra, autore del libro “Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’immigrazione italiana"), Oscar De Bona (presidente dell’associazione “Bellunesi nel mondo”) e con l’ingegnere della sicurezza Fabio Fortunati.
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