Vi ricordate dell’apprendimento a memoria delle poesie a scuola? Bei tempi e piacevoli ricordi? Ma perché le poesie venivano -ma forse vengono ancora?- fatte imparare a memoria? Per sviluppare il senso del dovere, allenare la memoria o vi erano (e vi sono) anche altri motivi? Cosa rappresenta per voi la poesia? Qual è la vostra preferita? Ci agganciamo alla Giornata mondiale della poesia che è in programma domani. Franco Loi, che è stato uno dei più grandi poeti italiani del Novecento, a proposito della poesia, nel 2015 scriveva: «Ci sono un'infinità di equivoci intorno a cosa sia la poesia. Una volta, circolava l'idea – anche tra i letterati - che l'andare a capo, fare una riga corta, fosse fare una poesia. Altra idea era quella della rima: parole che, in qualche modo, finiscono con un'assonanza fanno una poesia, oppure si pensava bastasse contare le sillabe, o altri fattori tecnici. Se la poesia fosse questo, sarebbe sufficiente fare una cattedra di poesia: si sfornerebbero poeti allo stesso modo in cui si sfornano ingegneri. Non è così. Anzi, la maggior parte dei poeti non ha frequentato le università e, soprattutto, le facoltà di Lettere. È interessante: pensiamo, ad esempio, a Montale, che era ragioniere, a Quasimodo, che era geometra. Questo la dice lunga su come non sia possibile “insegnare” la poesia, e come la poesia - al contrario - tema molto il soverchio del troppo, l'eccesso di erudizione, «lo spavento della letteratura». Quante volte ho sentito dire «È già stato detto tutto». La poesia è qualcos'altro. È un movimento che attraversa l'uomo: scrivo movimento perché «emozione» nasce da «moto ». Non sempre i moti attraversano la coscienza, a volte qualcosa avviene dentro noi e lo riceviamo attraverso ì sensi, o il «cuore», la percezione che più strettamente chiamiamo emozione. Si parla tanto delle funzioni della poesia, ma la poesia non ha le funzioni che le si attribuiscono - ideologiche, pratiche, eccetera – la poesia ha una funzione forte e importante: rivelare l'essere, e rivelare il rapporto che l'essere ha con il mondo, con gli altri. Perché i Greci chiamavano la poesia il «fare»? Perché è proprio un fare: è un operare su se stessi. Non solo si disvela il nostro essere, ma approfondisce il rapporto fra la nostra coscienza e il nostro essere. La poesia, quindi, è una delle arti che opera sulla materia». Voi che rapporto avete con la poesia? Allargando il discorso, per portarlo sul piano filosofico, la domanda potrebbe essere anche questa: cosa è rimasto di poetico nel mondo odierno? Cosa significa per voi l’espressione: “pura poesia”? Dite la vostra oggi a Controcorrente. Il pubblico ci può telefonare, dopo le 12.00, allo 0848 03 08 08 o scrivere via Wathsapp allo 076 321 11 13.
Ne parliamo con:
Prof.ssa Marina Santi, docente di didattica e pedagogia speciale al Dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell'Università di Padova
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