Don Backy, Sanremo, 1968
Millestorie

Le piccole grandi storie di Sanremo: “L’immensità” - Don Backy

Le canzoni che hanno fatto la storia del festival

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  • Loris Prandi
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Al di là di quelle rifatte, non sono molte le canzoni italiane che si ha la tendenza ad attribuire a due interpreti diversi: una famosa è certamente “Io camminerò”, che molti associano ad Umberto Tozzi e molti altri a Fausto Leali. Un’altra è “L’immensità”, portata in gara da Don Backy e Johnny Dorelli nel 1967, edizione ricordata soprattutto per la tragedia di Luigi Tenco. Un brano che Aldo Caponi – scampato al nome d’arte Cocco Bacillo che una volta entrato nel Clan voleva affibbiargli Adriano Celentano – scrisse con Detto Mariano pochi anni dopo aver adattato per il Molleggiato Standy By Me trasformandola in “Pregherò”. Il filone riecheggia ancora quello spirituale, è la storia di un uomo preso dallo sconforto che lo supera realizzando come la pioggia non porti solo malinconia ma anche linfa vitale per nuovi fiori che sbocceranno.

La canzone porta anche la firma di Mogol, che stando a Don Backy si limitò a cambiare tre parole ininfluenti nel testo.

Dopo il suicidio di Tenco vi fu chi meditò di abbandonare il Festival ma Don Backy volle restare, non per mancanza di rispetto al collega ma per non perdere l’occasione. Il brano si classificò al nono posto ma vendette moltissimo; Johnny Dorelli lo ripropose a Canzonissima l’anno successivo, se ne fece un musicarello e nel corso degli anni fu rivisitato molte volte, anche da Mina.

Se in gara quell’anno c’erano anche stranieri di grande nome, come Dionne Warwick, Sonny & Cher e la recentemente scomparsa Marianne Faithfull, “L’immensità” rimarrà una delle cinque o sei canzoni di quell’edizione funesta ad aver resistito all’usura degli anni.

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