Non mi sento un re, devo passare per l’inferno per fare approvare qualsiasi cosa.
Donald Trump
Mentre sabato 14 giugno, i carri armati sfilavano per le strade di Washington in un’imponente parata militare per celebrare sia il 250° anniversario della nascita dell’esercito che il 79° compleanno del presidente degli Stati Uniti, milioni di americani sono scesi in piazza per un motivo ben diverso. Circa 5 milioni di manifestanti si sono radunati in quasi 2’000 città (tra cui Atlanta, Chicago, Houston, New York e Philadelphia) per quello che gli organizzatori hanno definito il No Kings Day of Defiance. Una giornata di “sfida”, secondo i promotori, contro l’eccessiva pressione autoritaria di Donald Trump e «una teatrale ostentazione di dominio militare», simile alle marce marziali organizzate da altri dittatori. Le manifestazioni sono state organizzate e guidate principalmente dai movimenti Indivisible (nato dopo l’elezione di Trump nel 2016) e il 50501 (che simboleggia 50 stati, 50 proteste, un movimento). I piani di protesta erano in fase di elaborazione ben prima che i raid federali sull’immigrazione scatenassero le rimostranze a Los Angeles (e a macchia d’olio in altre città statunitensi) che hanno caratterizzato le notizie degli ultimi giorni.
Tensioni a Los Angeles
Telegiornale 11.06.2025, 20:00
Non è un caso che non vi sia stata nessuna manifestazione nella capitale. Infatti alcuni giorni prima della parata il presidente aveva dichiarato che qualsiasi manifestante avesse protestato contro la sfilata militare sarebbe stato accolto con «una enorme forza». Leah Greenberg, cofondatrice dell’associazione Indivisible, ha spiegato che si è volutamente evitato di manifestare a Washington per evitare di attirare una maggiore attenzione sull’evento e dare l’opportunità a Trump di mettere in atto la sua minaccia. «Vogliamo creare contrasto, non conflitto» ha affermato la Greenberg.
Ma in tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni c’è stato un grande protagonista, un motto costante ripetuto a gran voce: «No kings». Cerchiamo di capire cosa sta dietro a questo movimento.
Niente re. Niente governanti. Solo democrazia.
dal Manifesto del No Kings Movement
Negli Stati Uniti, la democrazia è sempre stata una questione di principio. Eppure, negli ultimi anni, una parte crescente della popolazione americana si è sentita di dover difendere con forza quei principi che sembravano intoccabili. In questo contesto è nato il No Kings Movement, una mobilitazione sociale e culturale che prende posizione contro quella che viene percepita come una deriva autoritaria della politica trumpiana. Sul loro sito ufficiale si legge: «Il No Kings Movement è un movimento popolare che si oppone all’eccesso autoritario e all’influenza miliardaria nel governo. È nato in risposta alle politiche di Donald Trump e al potere non eletto di Elon Musk, invocando democrazia, responsabilità e una leadership al servizio del popolo, non dell’élite.». Il termine No Kings richiama esplicitamente i principi fondanti della Rivoluzione Americana e della Costituzione degli Stati Uniti, che furono concepiti per rifiutare il modello monarchico britannico e impedire la concentrazione eccessiva del potere in un’unica persona. Questo slogan è stato spesso utilizzato da costituzionalisti, studiosi del diritto, liberali, ma anche conservatori tradizionalisti, attivisti per i diritti civili, ex-funzionari pubblici o militari preoccupati dell’uso del potere esecutivo. Oggi, quel rifiuto del potere assoluto si traduce in un rigetto del culto della personalità di Donald Trump, della concentrazione del potere esecutivo e dell’erosione dei contrappesi democratici. Il movimento sembra essere emerso organicamente, senza un singolo leader o una struttura centralizzata, durante la prima presidenza Trump (2016–2020), e si è consolidato nel periodo successivo, soprattutto a partire dal tentativo di sovvertire l’esito delle elezioni del 2020 e l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Attivisti, intellettuali, artisti e comuni cittadini si sono uniti sotto lo slogan No King in America (creato dal movimento Indivisible con una coalizione di partner tra cui 5051) per denunciare quella che vedevano come una pericolosa trasformazione della democrazia americana in una sorta di autarchia populista.
No Kings - che include una vasta gamma di componenti tra cui ex-repubblicani delusi, giovani progressisti, accademici, movimenti civili e artisti - non è semplicemente “contro Trump”, ma rappresenta una più ampia opposizione all’uso del potere esecutivo percepito come aggressivo e spesso oltre i limiti costituzionali. Il movimento va contro la centralità mediatica e carismatica dell’attuale presidente, avvertita come dannosa per la pluralità democratica. L’opposizione contesta la disinformazione, il revisionismo storico, la diffusione di fake news, le teorie del complotto e una riscrittura ideologica della storia americana che a suo avviso ha caratterizzato gli ultimi anni. Vi è inoltre la sensazione diffusa che Trump e i suoi alleati abbiano fomentato (o quantomeno tollerato) il suprematismo bianco e un nazionalismo etnico creando l’erosione delle istituzioni democratiche che comprendono l’indipendenza della magistratura e la libertà di stampa. Il No Kings Movement ha anche trovato nel mondo dell’arte e della cultura uno dei suoi veicoli principali. Installazioni artistiche, graffiti e musica sono diventati strumenti di protesta. Anche i social media giocano un ruolo chiave: su piattaforme come TikTok, Instagram e X, il movimento si organizza, racconta storie di resistenza civile e diffonde contenuti critici verso ogni forma di autoritarismo. Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2024, il movimento ha assunto una nuova centralità. Non si è trattato più solo di protesta, ma di proposta. Alcuni esponenti stanno promuovendo una carta dei diritti digitali per contrastare la manipolazione dell’opinione pubblica online, altri chiedono riforme costituzionali per limitare i poteri del presidente. Allo stesso tempo, No Kings si sta internazionalizzando. In Europa, America Latina e Asia, si moltiplicano i collettivi che si riconoscono in una lotta globale contro i leader populisti e autoritari. La figura di Trump diventa simbolica, ma rappresenta un’intera galassia di potenziali “re” moderni che minacciano l’equilibrio delle democrazie liberali.
Criticato da alcuni come idealista, il No Kings Movement rappresenta una risposta interessante all’attuale crisi delle democrazie occidentali. Non propone semplicemente di tornare a un passato “normale”, ma immagina un futuro in cui il potere non solo sia limitato, ma anche distribuito in modo più equo, inclusivo e responsabile. Ricordare che nessuno è re in America più che uno slogan, diventa un atto di resistenza civile.