di Omar Gargantini
Premesso che sono troppo giovane per ricordarmi di Pelè, e premesso che trovo sempre un po' stucchevoli e anche inapplicabili questi paragoni tra epoche diverse per stabilire graduatorie o gerarchie, beh, Diego Armando Maradona è stato un genio straordinario del pallone, un genio maledetto per le sue derive personali che ne hanno offuscato l’immagine fuori dal campo e complicato maledettamente la vita, tanto che addirittura è già quasi un miracolo che sia riuscito ad arrivare a festeggiare il 60o compleanno. Ce lo ricordiamo meno di un mese fa, ormai sfinito e svuotato, un’immagine triste e malinconica del campione che fu, una fotografia che però bene seppur con impietoso cinismo in fondo riassumeva tutti i suoi eccessi.
Maradona a 12 anni quando il suo talento iniziava a farsi conoscere in Argentina, disse nella sua prima intervista di avere due sogni: giocare un Mondiale e vincerlo. Era un predestinato e in fondo è come se lo sapesse, perché nel 1986 in Messico trascinò letteralmente al trionfo la sua Nazionale e mai - né prima né dopo - un titolo mondiale è stato così strettamente legato e identificato in una figura sola. Si ricordano in particolare i due gol all’Inghilterra nei quarti e proprio quei due gol se vogliamo sublimano e simboleggiano chi è stato il cosiddetto Pibe de Oro. Un gol con la mano a trarre in inganno l’arbitro ed uno con un’azione straordinaria partendo da metà campo.
Un genio, come dicevo, per la rapidità del pensiero e per la facilità e la spontaneità di ogni gesto tecnico. Talmente bravo da essere idolatrato in maniera trasversale (soprattutto nel periodo in cui ha regalato al Napoli i primi e fin qui unici due Scudetti della sua storia) e si sa quanto soprattutto nel calcio sia difficile abbattere gli steccati del tifo. Ecco, di Maradona era impossibile non innamorarsi subito, perché lui ha fatto e ci ha mostrato cose che nessun altro è riuscito a fare.
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