di Piergiorgio Giambonini
La seconda metà degli anni Ottanta e buona parte dei Novanta coincidono con la difficile ricerca di una nuova identità per un hockey rossocrociato ormai passato al professionismo e come tale in fuga dalla grigia periferia internazionale, eppure non ancora maturo per meritarsi una residenza fissa nei quartieri alti. Sono infatti gli anni vissuti in un’altalena di promozioni (1986, 1990, 1994 e 1997) e di relegazioni (1987, 1993 e 1996), di esaltazione e di delusione, di gioie e di dolori.
Alti e bassi spesso clamorosi, e che diventano addirittura estremi nella primavera del 1992, quando nel giro di appena tre mesi la Svizzera esce dapprima con le ossa rotte dal torneo olimpico di Albertville/Méribel (2 vittorie e 5 sconfitte, 10° posto finale su 12), per poi arrivare invece nientemeno che in semifinale ai Mondiali di Bratislava e Praga.
Fatto sta che la débâcle di febbraio costa immediatamente la panchina al tandem Juhani Tamminen – Brian Lefley, sostituiti dall’altrettanto improbabile accoppiata John Slettvoll – Bill Gilligan. Si passa insomma da uno staff tecnico finno-canadese, ad uno composto invece da uno svedese ed un americano. Che oltretutto mal si sopportano in funzione dell’ormai radicata quanto calda rivalità tra Lugano e Berna.
Praga 1992, Eberle e Ton a bersaglio contro la Russia
RSI Sport 29.04.2015, 10:00