dall'inviato a Parigi Stefano Ferrando
Quel maledetto giorno sai che prima o poi arriverà. Speri che qualcuno o qualcosa lo tenga lontano per sempre ma ad un certo punto dovrai fare i conti con la realtà. Anni di vittorie, di dominio che sembrano non valere più nulla, che al tuo avversario non fanno male. Rafael Nadal nel giorno del suo 29o compleanno ha provato tutto questo: una sensazione orribile e deve averlo capito dal primo minuto, dal primo scambio in cui ha messo subito una determinazione pari solo a quella dei momenti decisivi di un match.
Nel 2009 fu un gigante venuto dal nord a stopparlo, questa volta no: è stato un suo pari, una divinità del tennis a chiudere il suo regno. Söderling sfondò Nadal, Djokovic ha fatto altrettanto ma soffocandolo, anticipando i suoi dritti sempre potenti ma non più così profondi.
Nadal è partito "a tavoletta", pure Djokovic ed il primo set ne è una lampante dimostrazione. Poi il maiorchino ha continuato a chiedere tutto a fisico e testa, non certo Djokovic: lui ha atteso, ha osservato, ha gestito il suo tennis in attesa dell'occasione e, quando questa è arrivata, ha alzato il livello.
Djokovic ha frantumato il muro, ha spezzato l'incantesimo che teneva vivo il regno di Rafael Nadal, ha fatto ciò che aveva visto e rivisto nel visualizzare la partita alla vigilia. Senza scordare infine il fatto più importante: è nel miglior momento della carriera, Nadal no. Djokovic insegue il primo Roland Garros ed il Career Slam ma al tempo stesso strizza l'occhio al Grande Slam, quello che, da quando il bianco non è più d'obbligo su un campo da tennis, pare vietato anche alle divinità, Federer in testa. Nadal deve accettare che Parigi, Roland Garros e Philippe Chatrier non sono più suoi ma si tenga ben stretto tutto il resto perché quei nove titoli e le settanta vittorie a fronte di due sconfitte rimarranno a lungo, molto a lungo, un primato solo suo.