Reportage

Ucraina, il museo vuoto che conserva la memoria

Viaggio nelle sale nel Khanenko Museum, dove tutta la collezione è stata impacchettata; ogni tanto qualche opera viene riproposta per non dimenticare

  • 6 maggio, 17:11
  • 6 maggio, 17:19
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Una delle sale principali del museo, con le pareti svuotate dalle opere. In basso, i due ritratti di Bohdan e Varava Khanenko, i filantropi e fondatori del museo

  • Vincenzo Leone
Di: Vincenzo Leone

Il cartello fuori dalla Cattedrale di Santa Sofia in pieno centro a Kiev è incastrato nella fessura tra i due portoni d’ingresso in ferro, sbarrati. “Il museo è chiuso durante le allerte raid aerei”, si legge in ucraino e in inglese.

La visita al Khanenko Museum - venti minuti da lì passeggiando su Volodymyrska Street – è rimandata per lo stesso motivo. La quotidianità che si vive a Kiev e in tutta l’Ucraina da quando è stata decisa l’invasione su larga scala da parte della Russia è scandita dalle sirene. Scattano quando la Russia decide – a mezzogiorno come alle 3 e del pomeriggio o in piena notte – di lanciare un raid con missili, droni, o decide di far alzare in volo un paio di Mig-29.

Quando l’allerta rientra le porte dei musei – così come quelle dei negozi - riaprono, e al Khanenko Museum le etichette raccontano un altro lato della guerra. C’è quella con il nome di Francesco Tironi e del suo “Venezia: Riva degli schiavoni” datato 1745 circa. C’è quella che dà il nome a una “Assunzione della vergine” del quindicesimo secolo. Ma il quadro non c’è, e la tavola in legno bisogna immaginarsela. Da due anni questo è un museo dove non c’è più niente da vedere. “In altre parole, non ci sono mostre”, racconta la direttrice del museo Yulia Vaganova mentre manda avanti le foto su uno schermo alle sue spalle. Scorrendo, ci si può fare un’idea su come erano allestite le sale prima del 24 febbraio del 2022, con alcune delle 20’000 opere che fanno parte della collezione del Khanenko. Opere provenienti dall’Europa occidentale, ma anche dall’Asia, dal Medio Oriente per una collezione che la direttrice definisce “cruciale” perché – racconta - l’Ucraina è sempre stata un incrocio di culture, e la collezione riesce a “spiegare come queste culture si mescolino alla cultura ucraina”.

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Una delle statue che sono conservate nel piano inferiore della struttura. Anche le opere che non è stato possibile trasferire, sono imballate e coperte.

  • Vincenzo Leone
Tutto impacchettato

Le foto raccontano anche di quando tutto è stato smontato, impacchettato, e messo al sicuro, come da direttiva del Ministero della Cultura ucraino. “Prima dell’invasione abbiamo sviluppato diversi protocolli su cosa fare in caso di invasione”, racconta la direttrice da Kiev. Le esperienze di quanto successo in Donbass e in Crimea, le prove su che tipi di materiale per imballaggi utilizzare e tenere dentro al museo, la divisione in team con diversi ruoli in caso di attacco. La pianificazione ha fatto poi i conti con la realtà, che è andata oltre le aspettative. “Il nostro sbaglio, penso uno sbaglio che hanno fatto la maggior parte dei musei, non credevamo che i missili potessero attaccare la città, che gli aerei avessero bombardato le città ucraine”, ammette. Yulia Vaganova è arrivata alla direzione del museo tre mesi prima dell’invasione su larga scala, un incarico inizialmente solo temporaneo perché il direttore che c’era prima di lei ha rinunciato all’incarico prima della fine del mandato. La mattina del 24 febbraio del 2022 al museo arriva solo “chi sapeva come imballare e come conservare gli oggetti”. Qui la direttrice ribadisce un concetto a cui tiene molto. “La parola che noi usiamo è che la collezione è “conservata”. Noi non diciamo nascosta, non diciamo evacuata, non diciamo spostata, usiamo la parola conservazione”. Yulia Vaganova è arrivata con un contratto ad interim. Per pura coincidenza, l’ultimo giorno per mandare un curriculum e candidarsi alla nuova direzione del Khanenko era il 24 febbraio 2022. La call viene annullata per via della guerra, l’invasione dà nuovi poteri anche al Dipartimento della Cultura. Lei rimane al suo posto nei giorni convulsi di fine febbraio di due anni fa. Verrà poi nominata direttrice generale, con un contratto speciale che ha una durata legata agli eventi. Fino alla fine della guerra, più 12 mesi.  

Sullo schermo passano anche le immagini del 10 ottobre del 2022, quando un missile russo è caduto a 20 metri dal museo, spazzando via il parco giochi del parco Taras Shevchenko, proprio di fronte all’ingresso principale del museo. Oggi è tutto come prima, la gente passeggia al mattino per i viali del parco, tra veterani in mimetica e stencil del reggimento Azov verniciati sulle cabine elettriche. Anche la statua al centro del parco non si vede, della sagoma di Taras Shevchenko si scorge solo la testa, per il resto è protetta da possibili attacchi aerei da una struttura in ferro, sacchi di sabbia e pannelli in legno. Quando il missile è arrivato sul parco il museo – seppur riaperto da qualche mese – era chiuso, come tutti i lunedì. “Abbiamo riaperto al pubblico i primi mesi di maggio 2022, abbiamo deciso di fare dei concerti e dei workshop per bambini”, racconta la direttrice. Il suo staff è tornato gradualmente a lavoro, con ruoli diversi e adattandosi alla nuova quotidianità.

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Il podio in legno dove era esposta l’opera d’arte dal nome “Assunzione della vergine” del quindicesimo secolo, in una delle sale totalmente affrescate e dove anche i mobili sono stati ricoperti da teloni di protezione

  • Vincenzo Leone
“Proviamo a fare il nostro lavoro al meglio”

“Dopo notti insonni veniamo a lavoro e proviamo a fare il nostro lavoro al meglio”, racconta Margharyta Stafiichuk del Dipartimento di Educazione e Comunicazione del Khanenko Museum. Su Kiev le allerte aeree continuano a essere molto frequenti, 35 nell’ultimo mese di cui 10 nel pieno della notte.

Marharyta lavora al Khanenko dal 2020, è tornata a lavoro nell’autunno del 2022. “La differenza rispetto a prima del 24 febbraio è stata subito evidente: le sale del museo erano vuote; tutti gli oggetti d’arte sono stati rimossi dalle sale del museo” racconta. “Cosa facciamo in un museo privato della sua esposizione? Di cosa parliamo? Cosa offriamo ai nostri visitatori?” si chiede. “Abbiamo provato a costruire per le persone un posto sicuro a livello psicologico, non fisico. Non abbiamo shelter, quindi non potevamo proporre uno shelter ma potevamo proporre qualcos’altro”, dice la direttrice Yulia Vaganova. “Abbiamo deciso che il museo fosse importante come istituzione, e la storia di questo museo lo fosse”, ribadisce.

I tour speciali

Qui si organizzano dibattiti, incontri, concerti, esibizioni temporanee di artisti ucraini che fanno arte moderna, sono tornate le scolaresche. “Molti di questi programmi erano parte del nostro itinerario di visita anche prima dell’invasione su larga scala, adesso siamo stati forzati a ripensare il loro contenuto, i temi e il messaggio”, racconta. E aggiunge: “abbiamo creato tour speciali del museo, durante il quale diamo l’opportunità di parlare a fondo della storia del museo, delle sue mura, dei suoi fondatori”.

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Una parte delle opere smontate e conservate al piano inferiore della storica residenza dei coniugi Khanenko al Tereshchenkivska Street 15 di Kiev, sede del museo. È considerato uno dei palazzi di fine ‘800 di maggior pregio architettonico in città

  • Vincenzo Leone

La scelta di lasciare le etichette delle opere d’arte all’inizio aveva un significato. Le opere d’arte torneranno tutte esattamente al loro posto, non sono svanite nel nulla ma qualcosa tornerà lì, raccontano. “Adesso è qualcosa che va nella direzione di non dimenticare, perché quando entri in un museo vuoto con i muri vuoti, puoi dimenticare cosa c’era lì, la tua memoria può essere cancellata, e questa è un’arma molto potente della Russia, che è stata implementata anche durante l’epoca sovietica” spiega la direttrice. “E quando tu hai questa memoria vuota, puoi essere manipolato molto facilmente”, prosegue.

Un oggetto esposto per un giorno

Proprio per questo al Khanenko Museum stanno da poco sperimentando una nuova iniziativa che propongono ogni due settimane. “Di tanto in tanto abbiamo accesso ai nostri oggetti, facciamo un check delle condizioni della collezione,” racconta la direttrice. “Prendiamo un oggetto, e lo esponiamo per un giorno. Entro fine giornata, lo imballiamo nuovamente e seguiamo i protocolli di sicurezza”.

Yulia Vaganova racconta l’evoluzione nell’arco di questi due anni. Dopo gli orrori di Bucha, di Irpin, di Kharkiv, “la gente non riusciva ad andare nei musei, al cinema, non riusciva a leggere libri perché la realtà era così dura che l’arte e la cultura non potevano competere con la realtà”, racconta. Adesso le cose sono un po’ cambiate, ma qui dentro non si sta come in una bolla. “Non credo che la gente fugga nell’arte, perché non sai mai cosa succederà domani, se domani la performance che andrai a vedere si terrà perchè se ci sarà un attacco missilistico tutto verrà chiuso e tutti andranno in un rifugio”, dice. “La gente non usa l’arte per fuggire da qualcosa, ma per cercare di vivere una vita normale, e per sentirsi ancora vivi”. “Questa è azione, non è escapismo, non fuggiamo dalla realtà, cerchiamo di descrivere la realtà e discutiamo la realtà”, prosegue. “Putin ha detto tante volte che vorrebbe soltanto cancellare l’Ucraina come Paese e come nazione”, prosegue la direttrice. “Se vogliamo far conoscere il nostro patrimonio dobbiamo mostrarlo”. I numeri dei visitatori in alcune giornate riescono a raggiungere i numeri pre-invasione, la media è comunque di circa 2.500 visitatori in un mese.

È un sabato mattina quando all’uscita del museo, due ragazze di Kiev raccontano che anche per loro questa è stata la prima visita al Khanenko. “Abbiamo deciso che questo era il momento e siamo venute a dare un’occhiata” racconta una delle due ragazze. “Ci è piaciuto in generale, anche l’architettura è molto bella, la storia di questo museo è lunga e interessante da vedere nonostante il fatto che la maggior parte dell’esposizione si trova in un posto sicuro”, continua. L’amica la interrompe e interviene in inglese, così da farsi capire all’istante. “Avrei voluto che fossimo state qui prima della guerra”.

Lavorare sul vuoto

La gente chiede allo staff perché non c’è nulla, perché dei teloni sulle opere più grandi che non si possono trasportare. “Le reazioni che abbiamo dai nostri visitatori sono sempre molto differenti, molti di loro lamentano l’assenza della nostra collezione dai muri”, racconta Margharyta Stafiichuk. “È molto triste andare ogni giorno tra muri vuoti”, ad ammetterlo è la stessa direttrice. Margharyta accompagna tutti i giorni i visitatori tra le sale del museo. Racconta di aver lavorato su questo vuoto che la circonda, rispetto alle prime volte in cui entrava qui e vedeva solo sagome di quadri, statue coperte e corridoi spogli. E di averci trovato una prospettiva. “Adesso trovo questo vuoto piuttosto confortante. Mi ricorda che la nostra collezione è rimossa per motivi di sicurezza, dopo la vittoria dell’Ucraina tornerà nelle sale. In centinaia di musei in Ucraina questo vuoto è definitivo: le loro collezioni sono state saccheggiate dai russi, distrutte da missili, bombe e bombardamenti o bruciate. Sono perdute per sempre e non torneranno”.

Ucraina, l'avanzata russa

Telegiornale 05.05.2024, 20:00

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