Dossier

Donare il sangue a Kathmandu

Il diario di Annick Reiner, volontaria ticinese nel Nepal colpito dal terremoto

  • 30 aprile 2015, 00:26
  • 7 giugno 2023, 07:58
Un centro sanitario temporaneo di Shaku

Un centro sanitario temporaneo di Shaku

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La quarta puntata del diario di Annick Reiner, a Kathmandu da 10 mesi dove lavora come volontaria per l'ONG Kam For Sud:

Il centro diurno Rodec a Kathmandu non può essere ancora riaperto, manca la perizia di un ingegnere, oggi andrà all'orfanotrofio di Thatali vicino a Bakthapur, verrà stasera, forse domani mattina. Visito i quartieri a est di Boudhanath, alcuni monasteri sono gravemente danneggiati e con alcuni conoscenti e Alice, ci offriamo di pulire intorno alla struttura centrale dai calcinacci, intonaco, rifiniture in marmo e mattoni caduti dalle decorazioni e tamponature fra i pilastri di cemento armato.

I monaci ci guardano e attendono, qualcuno arriva con delle pale, altri con delle scope di saggina. Ci aiutano, prima uno, poi due...giungono alcuni monaci-bambini e si danno da fare e poi le donne a raccogliere la spessa polvere. Il muro pericolante della fabbrica di tappeti tibetani è finalmente caduto senza colpire nessuno...ora dalla strada si vede il grande telaio di legno e le centinaia di fili bianchi verticali tesi, i gomitoli di lana colorata si indovinano sulla parte di fondo. Risalendo si vedono mobili per la strada, case abbandonate e altre con crepe che si aprono dalle finestre e dalle porte, minacciano la strada sottostante...Visito il Shechen Monastery, Stefano, un ingegnere civile di Roma, compie i rilievi per una perizia, l'angolo nord-ovest del Gumba si è letteralmente sollevato da terra di 5 centimetri!

Nel pomeriggio, partiamo in taxi con Alice e una coppia di inglesi verso il Medical College and Hospital a Gokarna. Lì potremo donare il sangue. Ci accolgono alcuni studenti in camice bianco e una cassetta per le offerte. Entriamo nella sala d'attesa colma di persone sdraiate per terra fra le sedie. Alcuni non hanno nemmeno un materasso, sembra un accampamento. A osservare meglio si vedono delle fasciature agli arti o alla testa, qualche soluzione trasparente pendere da una sacca ad un'asta e attraverso un tubicino entrare in un braccio. In molti non si muovono avvolti in lembi di lenzuola e coperte. Ci informano che la macchina che testa il sangue è fuori uso, forse vicino all'ambasciata americana al Teaching Hospital si può donare ma non è certo. Su un lentissimo microbus decidiamo di attraversare Kathmandu perché lo Stupa Community Hospital non garantisce la sicurezza sanitaria per i donatori. Andando verso il centro gli edifici crollati obbligano il traffico, fattosi in questi giorni più intenso, a gimcane che invadono la corsia contromano, si distribuiscono teli cerati azzurri da grandi rotoli, la polizia controlla che la folla che ne fa richiesta non prenda d'assalto l'uomo con le forbici addetto al taglio. Raggiungiamo Putalisadak e poi la Blood Bank gestita dalla Nepal Red Cross. Sono le 17 e dopo due ore di viaggio a singhiozzo ci dicono che le donazioni sono terminate alle 16. Ci dicono di tornare l'indomani, forse alle 10 del mattino. Insisto ricordando che siamo nell'emergenza di un terremoto che conta più di 5'000 morti e cosa più importante, quasi 9'000 feriti e un numero a 5 cifre di dispersi...si consultano, un uomo ha già indossato il casco e i guanti per partire, finalmente se ne avvicina un altro che ci fa riempire il formulario di donatore volontario in una stanzetta.

Delle quattro persone partite da Boudhanath tre ore prima sarò la sola che soddisferà i criteri per riempire una sacca da 350 ml. Verrò poi ringraziata con un succo al mango!

Annick Reiner, mercoledì 29 aprile da Kathmandu

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