In concomitanza con le votazioni federali e la decisione cantonale sugli ecoincentivi i cittadini ticinesi sono chiamati anche a decidere se approvare la modifica costituzionale richiesta dall’iniziativa costituzionale elaborata “Salviamo il lavoro in Ticino” lanciata dai Verdi nel 2013.
Il Gran Consiglio lo scorso marzo l’ha approvata con 38 voti favorevoli, 27 contrari e 4 astenuti anch’esso convinto della necessità che, di fronte alla situazione del mercato del lavoro ticinese che occupa 60'000 frontalieri e alla pressione sugli stipendi dall’introduzione della libera circolazione, il Governo fissi un salario minimo laddove questo non è garantito da un contratto collettivo. Il salario minimo dovrà: corrispondere a una percentuale dello stipendio mediano nazionale e essere differenziato in base alla mansione svolta e al settore economico d'impiego. Il Ticino sarebbe il terzo cantone elvetico a fare il passo dopo Giura e Neuchâtel.
Per i contrari all’iniziativa la sua approvazione invece di risolvere la situazione rischia di provocare nuovi problemi. In primo luogo per l’impossibilità di tradurre in pratica l’indicazione secondo la quale “ogni persona ha diritto ad un salario minimo che le assicuri un tenore di vita dignitoso”. Poi per la possibilità di aggirarla con “mille escamotages” e la difficoltà di applicare concretamente la distinzione fra attività e settore economico prevista dal testo. Inoltre l’introduzione di un salario minimo non andrebbe tanto a vantaggio dei lavoratori che abitano in Ticino (sarebbe toccato meno del 4%), ma darebbe una paga più che dignitosa al 20% degli occupati che risiedono all’estero.
Diem
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