Jack Elsom, studente, sostenitore dell'uscita della Gran Bretagna dall'UE, non ne fa mistero: la battaglia è infuocata, ma per giungere alla sua decisione si è dato la pena di ascoltare le tesi delle due parti avverse (non necessariamente di schieramenti politici opposti). Poi... ha scelto di dire "Brexit sì". E che il dibattito Brexit, per i Tories, sarebbe stato acceso e divisivo, persino lacerante, era noto da tempo. Una frattura netta attraversa il partito di governo, con il Premier Cameron schierato fermamente per la permanenza nell’Unione e almeno la metà dei suoi deputati - capeggiati dal sindaco di Londra, Boris Johnson - suggestionati dall’opzione Brexit. Dopo poche settimane di campagna referendaria però lo scontro è già degenerato in una faida senza quartiere. Accuse, insinuazioni, insulti, minacce. “Un’atmosfera da guerra civile”, l’ha definita il Financial Times. La peggiore crisi per il partito conservatore non solo dal 2010 - l’anno del ritorno al potere - ma degli ultimi 25 anni.
Dimissioni di Duncan Smith
L’ultimo episodio, le dimissioni di Iain Duncan Smith, ormai ex ministro del Lavoro e delle Pensioni. Un pezzo da 90 del partito, che lo stesso IDS aveva guidato (male) dal 2001 al 2003. Ufficialmente ha lasciato per protesta ai tagli (“ingiusti”) dei benefici per i disabili, inizialmente previsti nella nuova legge finanziaria. Per i più, però, si è trattato di un pretesto, lungamente atteso, per sferrare un attacco frontale al direttivo della campagna pro-UE, ovvero Cameron-Osborne. Solo così si spiega perché l’ex ministro abbia rifiutato ogni tentativo di compromesso, incurante persino del fatto che gli stessi tagli fossero stati nel frattempo ritirati. Più che la riscoperta di una coscienza sociale, il suo è apparso come uno studiato calcolo politico per destabilizzare il governo, estromettendo di fatto il Cancelliere dello Scacchiere Osborne dalla corsa per la successione di Cameron.
Rischio cospirazione
Rabbiosa, ai limiti dell’insulto, è stata la reazione di Cameron, che rischia sempre più di apparire come un generale senza esercito. Il suo destino politico è strettamente legato all’esito del referendum, ma neppure l’eventuale vittoria del suo fronte potrebbe scongiurare un eventuale ammutinamento. Il Premier ha già fatto sapere che traslocherà da Downing Street prima della fine naturale del suo mandato (2019), rinunciando a candidarsi per la terza volta. Ma è in atto una cospirazione interna, di matrice euroscettica, per defenestrarlo ben prima. Una manovra cinica e spregiudicata, a tutto discapito del partito, destinato a faticare per ritrovare un’unità programmatica dopo il 23 giugno.
Lorenzo Amuso