Sono passati 30 anni, ma per la giornalista e scrittrice Svetlana Aleksievich, Cernobyl rimane una storia ancora viva. È grazie al suo lavoro che il disastro nucleare di quel 26 aprile 1986 ha assunto un volto umano: quello, per esempio, delle vedove dei pompieri accorsi per primi a spegnere il rogo, sprigionato dall’incendio al reattore numero 4 e che hanno visto morire i mariti con la pelle che si staccava dalla carne per le radiazioni.
RSI l’ha incontrata al Literarisches Colloquium, a ovest di Berlino, dove ha trascorso alcune settimane prima di tornare a Minsk. Sessantotto anni, per metà ucraina e per metà bielorussa, la Aleksievich ha dedicato 40 anni della sua vita a cinque libri e al raccontare le pagine più dolorose e imbarazzanti dell’Unione sovietica attraverso le voci della gente comune. Il suo lavoro le è costato la persecuzione da parte del regime di Lukashenko e in patria le sue opere sono ancora bandite. Ma nel mondo è stata tradotta in oltre 40 lingue e, l’anno scorso, è arrivata la consacrazione col Nobel per la letteratura.
Marta Allevato
Il TG 12.30 proporrà, su Cernobyl, una doppia pagina: da Lugano a Kiev e l'intervista a Svetlana Aleksievic.