“Invece di costruire più muri, dovremmo creare maggiori connessioni. Sarebbero importanti per i nostri scambi commerciali ma anche per la nostra sicurezza”. Così ai microfoni della RSI il professor Michael Dear, docente alla California University di Berkeley, che da anni studia le relazioni tra sviluppo urbano, aspetti socio-economici e geografici al confine tra Stati Uniti e Messico.
Il muro alla frontiera meridionale è stata una delle promesse elettorali che hanno portato voti a Donald Trump. Adesso che è presidente, ne ha approvato la costruzione con un ordine esecutivo (anche se i fondi dovranno essere approvati dal Congresso). Ma questo, secondo il professor Dear, non risolverà i problemi di sicurezza. Già nel 2013, in una lettera aperta sul New York Times, aveva chiesto all'allora presidente Barack Obama di eliminare le barriere esistenti tra i due paesi. Adesso che alla Casa Bianca c’è Trump, il professor Dear resta della stessa idea. L’ha spiegata anche nel suo libro dal titolo: “Perché i muri non funzionano”.
"È importante sapere – soprattutto per chi non abita negli Stati Uniti , sottolinea Dear – che un muro esiste già, costruito negli ultimi 10 anni, lungo quasi mille chilometri di frontiera terrestre. C’è stata una diminuzione di ingressi di immigranti irregolari. I dati raccolti e analizzati da me però suggeriscono che questo muro ha avuto un impatto nullo o comunque è stato minimo"
Attraverso quel confine però non passa solo chi viene negli Stati Uniti in cerca di lavoro – ma c’è un innegabile traffico di esseri umani, armi, droga… Secondo lei il muro che Trump ha deciso di costruire potrà fermare tutto questo?
"No, il muro ha reso più facile finora l’attività dei cartelli messicani della droga. I narco-trafficanti conoscono quali punti di ingresso usare e il tipo di controlli effettuati dalla polizia di confine. Sanno esattamente quando transitare. In qualche modo questa barriera ha regolarizzato le loro attività criminali. Il primo muro, quello esistente, non ha avuto effetto. E nemmeno questo secondo muro avrà alcun impatto sul traffico di esseri umani o di droga"
Questi traffici avvengono soprattutto nelle zone isolate lungo i 3000 chilometri di confine col Messico che il presidente Trump vorrebbe sigillare. Però ci sono anche grandi città, che in alcuni casi sono a cavallo della frontiera in California, Arizona, Texas…
"Durante i miei viaggi lungo il confine, quello che mi ha colpito di più sono proprio le città-gemelle tra Stati Uniti e Messico. Per esempio San Diego e Tijuana, oppure El Paso e Ciudad Juarez. Sono una sola comunità, al di là della frontiera che le separa. Invece di costruire più muri, dovremmo creare maggiori connessioni. Sarebbero importanti per i nostri scambi commerciali ma anche per la nostra sicurezza".
Numeri alla mano, ogni giorno dal Messico entra negli Stati Uniti mezzo milione di persone. A proposito di scambi commerciali, cosa rappresenta questa frontiera?
Il confine e le zone adiacenti sono quelle dove si registra la più rapida crescita economica su entrambi i lati della frontiera. Attraverso quel confine transitano scambi commerciali per oltre 1,4 miliardi di dollari ogni giorno".
Non c’è allora il rischio di parlare solo di sicurezza dimenticando tutto il resto?
"L’enfasi sulla sicurezza, sulla droga, sul passaggio di cartelli criminali, è comprensibile e importante. Ma forse per garantire sicurezza al nostro paese è ancora più importante garantire la prosperità delle comunità di confine. Quando la loro economia produce posti di lavoro e benessere, questo è molto più efficace della povertà".
E invece secondo lei, cosa sta accadendo?
"Se continuiamo a deportare un numero elevato di persone già ora, e con l’eventuale modifica dei trattati commerciali col Messico, minacciamo l’economia di confine. Così creiamo automaticamente un mercato di manovalanza del crimine. Non perché le persone lo vogliano, ma per disperazione. E questo comporta nuovi problemi per la nostra sicurezza".
Emiliano Bos