“Perché non diventi anche tu musulmano? Prima battute del genere le sentivo, ora invece, dopo gli attentati del 22 marzo, qui a Molenbeek nessuno ha più voglia di scherzare”. Così Diego Valenti, operatore sociale in una delle tante municipalità di Bruxelles, racconta come stia montando il clima di tensione e consapevolezza nella comunità musulmana di Molenbeek dopo il duplice attacco terroristico.
Il Comune in questione, composto per lo più da quartieri popolari, prestatosi sempre a flussi migratori (gli italiani prima, i marocchini poi, nord africani e rom più recentemente), è presente in tutte le analisi dei media internazionali, perché qui ci sono le abitazioni di quasi tutti i protagonisti dei fatti di Parigi e Bruxelles. A guardarlo bene però è come un qualsiasi altro quartiere di una città del nord Europa. Basta oltrepassare un canale e ci si ritrova nella Bruxelles del centro città, a ridosso di tutti i palazzi delle istituzioni europee. Non è un ghetto Molenbeek. Salta all’occhio solo per la forte presenza della comunità musulmana, che chiaramente condiziona tutta la vita quotidiana. Al centro dell’Europa ci si ritrova in mercati che hanno sapori mediorientali, moschee, popolazione che utilizza solo l’arabo come lingua e il tahlil come musica. “La radicalizzazione nasce qui perché al primo scontento sociale ci s’imbatte nell’omologazione religiosa. Se ci avessero dato la possibilità di mischiarci ad altre razze, forse, tutto questo non sarebbe accaduto”. A parlare è un ristoratore arabo, che a Molenbeek è anche un riferimento religioso per tutta la comunità, perché mette a disposizione i suoi locali per la preghiera. Karim è però netto nella critica ai giovani attratti dal jihad. “Il disagio economico l’abbiamo vissuto anche noi, migranti di altre generazioni. Non avevamo però il tempo per una fascinazione del male. Io credo che sia un errore collegare il problema dell’esclusione sociale al terrorismo. La generazione di giovani annoiati, che non hanno alcuna collocazione nella società, neanche nella loro comunità religiosa, trovano un posto in cui sentirsi a proprio agio tra chi li fomenta. Questi ragazzi che tanto urlano alla liberazione della Siria grazie all’ISIS, pur essendo di origine araba, non sono mai stati lì e non conoscono nulla di quei posti”.
Mentre l’aeroporto di Zavaktem riapre e la metro della città prova a riassestarsi dopo gli attacchi, le indagini degli inquirenti continuano, con la caccia ai responsabili ed a tutta la rete dei nuovi arruolati che da novembre 2015 sta gettando nel panico l’Europa intera. Anche l’FBI si è mossa per un’indagine coordinata a Bruxelles, ma molte sono le critiche rivolte agli investigatori, che già avevano tra i segnalati le persone che hanno poi agito. Non essere riusciti ad intervenire ha sollevato molti dubbi sull’efficacia dell’intelligence. Il lavoro del parquet federal ha però tra i suoi meriti quello di aver intercettato da dicembre ad oggi diversi esponenti della rete jihadista. A dicembre sono stati fermati i due conosciuti come “Kamikaze Riders”, salafiti in moto che scorazzavano per Bruxelles. Si tratta di Mohamed Karay, 27 anni, e di Saïd Souati, 30 anni. Per il primo l’accusa è di appartenere al gruppo terrorista, mentre per il secondo quella di esserne il fondatore e dirigente. Ma il colpo grosso è stato l’arresto di Khalid Zerkani. 42 anni, belga, reclutatore numero uno di tutti i ragazzi di Molenbeek. Definito un guru, anche durante gli interrogatori, ha raccontato più volte con vanto la sua presenza sui campi di battaglia. Lui ha avviato alle armi sia Abdelhamid Abaaoud, stratega delle stragi di Parigi, sia Najim Laachraoui, tra gli attentatori suicidi di Bruxelles. Lui, Khalid Zerkani, è stato definito il più grande reclutatore di jihadisti in Belgio. La maggior parte dei ragazzi finiti nella sua rete vivevano a Molenbeek.
Lorenzo Giroffi