La Grecia è il primo paese industrializzato a non avere restituito un prestito al Fondo monetario internazionale (istituzione di cui fa parte anche la Svizzera). Da ieri è anche il primo paese dell’Unione europea ad avere fermamente rigettato, con un referendum, i piani dei suoi creditori per aiuti finanziari in cambio di riforme economiche e disciplina fiscale. Ma la Grecia desidera anche restare nella zona Euro, questo dicono i suoi governanti, e continuare ad essere aiutata. Le sue banche continuano a ricevere dalla Banca centrale europea della liquidità di emergenza, in pratica una flebo di euro che permette loro di continuare ad operare.
Quella che, in queste ore, dai partiti anti-sistema di estrema destra e di estrema sinistra di tutta Europa viene elogiata come una lezione di democrazia e sovranità, qui a Bruxelles è vissuta soprattutto come un affronto ed una mancanza di responsabilità. Un affronto perché, nel maggio del 2010, fu proprio per salvare la Grecia dalla voracità dei mercati che i partner dell’Eurozona si offrirono di coprire con i soldi dei loro contribuenti il dissesto delle casse di Atene. Lo fecero, certo, anche per garantire la loro stabilità ed evitare il rischio di contagio, ma fu comunque una decisione solidale, presa in violazione del principio che la moneta unica non sarebbe diventata una unione di trasferimenti monetari dai membri parsimoniosi verso quelli prodighi. Un principio sancito ai tempi della fondazione dell’euro e caro soprattutto ai tedeschi.
Il referendum va rispettato, ma quella ellenica non è l’unica democrazia dell’Eurozona. In almeno quattro o cinque Stati, tra cui la Germania, ogni nuovo accordo con Atene dovrà essere ratificato dal Parlamento federale. Il fallimento dei tentativi di trovare un’intesa entro il 30 giugno scorso ha fatto "svanire" il meccanismo europeo di stabilità finanziaria (EFSF), creato come meccanismo temporaneo nel 2012 per aiutare Grecia, Irlanda e Portogallo e che ormai aveva solo la Grecia tra i suoi "clienti". Bisognerà dunque inventare un nuovo programma sulla base del meccanismo europeo di stabilità (ESM), il fondo permanente salva-Stati dotato di oltre 500 miliardi di euro e pensato per scoraggiare la speculazione contro qualsiasi membro dell’Eurozona. Tsipras ha già chiesto 29 miliardi per i prossimi due anni. Ma se i creditori erano esigenti quando si trattava di dargliene 7 per qualche mese, certo le condizioni per un prestito molto piu grande non saranno meno pesanti. E ci vuole un voto del Bundestag anche per autorizzare il governo tedesco, in sede di Eurogruppo, ad approvare il mandato con cui avviare le trattative con Atene.
Il 20 luglio Atene deve restituire 3,5 miliardi di euro alla Banca Centrale Europea. Se non lo farà, Francoforte non potrà continuare a tenerne in vita le banche. I tempi sarebbero stretti anche se tra la Grecia e i suoi creditori fosse solo armonia e fiducia reciproca. Per questo il voto di ieri, visto da Bruxelles, non risolve niente e anzi complica le cose. Per questo il voto che entusiasma i Farage, le Le Pen, i Salvini, i Wilders, i Grillo, nella prospettiva dell'Unione è soprattutto un passo verso l'ignoto.
Tomas Miglierina
Il nostro dossier: Non si vive di solo euro, ma...