Nel 1881 undici indigeni Kawésqar vennero strappati dalle loro terre in Patagonia per essere esposti come animali da zoo a Parigi, in Germania e anche a Zurigo. La gente accorreva. Pagava il biglietto per, citiamo dagli scritti del tempo, guardare i selvaggi. Durante questo crudele tour si ammalarono gravemente. Sette morirono.
"A Zurigo, in particolare, morirono cinque persone. Dopo la morte furono sezionati e studiati. Le loro spoglie furono custodite all'Università”, racconta Maike Powroznik, curatrice del museo di etnologia dell’ateneo zurighese. “Nel 2010 le spoglie furono riconsegnate ai discendenti, che le hanno riportate nelle loro terre”.
Per questo popolo che da millenni abita la parte più meridionale del Cile è una ferita ancora aperta. Nelle loro terre erano una popolazione nomade, che si spostava su canoe, in quei luoghi estremi fatti di fiordi, isole, montagne, fiumi e ghiacciai. Pescatori, cacciatori, raccoglitori.
In questi giorni, con l’obiettivo di fondo di cercare una rappacificazione, una delegazione di Kawésqar si trova a Zurigo per presentare la loro cultura: "Questa attività la facciamo per la rinconciliazione – spiega Francisco González, presidente della Fondazione "Pueblo Kawésqar" -. Parlare di noi, con altra gente che abita a Zurigo, di sicuro cambia un po' la Storia, quella che viene raccontata in famiglia e nella Patagonia. Così parliamo un po' anche del presente e del nostro futuro”.
Perché i Kawésqar sono ancora vivi, dice Francisco González, e oggi sono i veri custodi di quelle terre in Patagonia.