Turchia, vigilia del referendum costituzionale 2017 per il presidenzialismo. Strade e edifici di Istanbul si sono riempiti di enormi ritratti di Recep Tayyip Erdoğan.Qui siamo sempre a Karaköy, sul lato europeo. La gigantografia del leader, corrugata dalle piege del tessuto, è stata collocata all'esterno di un parcheggio a più piani.
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Erdogan, califfo a vita

La Turchia spaccata in due, dice sì al referendum che dà pieni poteri al super-presidente

  • ©Italo Rondinella
  • 18.4.2017
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Sapeva che il risultato era a rischio, per nulla scontato. Già in Parlamento, il presidente Erdogan ha dovuto allearsi con il partito dell’estrema destra nazionalista all’opposizione per raggiungere la maggioranza e far passare la modifica autoritaria della costituzione.

Ma a dar man forte al “sultano”, a convincere che ci vuole una mano energica per condurre oggi la Turchia, ci hanno pensato cruenti e sanguinosi fatti di cronaca. Quasi una ventina di attentati dal 2015 ad oggi; poi il golpe fallito; la conseguente repressione dei “nemici dello stato”; la strage di capodanno al night club Reina; lo stato di emergenza.

È anche grazie a questi accadimenti, che Recep Tayyip Erdogan ha vinto. Non è stato un plebiscito. Ma la Turchia, con poco più del 51 per cento dei voti, ha preso una decisione appunto storica, di cambiamento e trasformazione. C’è chi ha parlato di un “semplice” passaggio da un sistema autoritario di fatto, a un sistema autoritario di diritto.

Ma Erdogan il “salvatore della patria”, è anche colui che, dopo decenni di subalternità, ha ridato voce, legittimità e dignità all’Islam politico, in un progetto tutto suo di conciliare Islam, democrazia e prosperità economica - come aveva assicurato al presidente egiziano Morsi. Oggi però la democrazia perde smalto, relegata a plebiscitare il nuovo califfo, accettando anche “de jure” una forma di “democrazia presidenziale” più autoritaria e plenipotenziaria.

Ci si interroga ora sulle conseguenze che potrà avere questo voto sui rapporti tra la Turchia e l’Unione Europea, e quali con il resto dell’Occidente, la Russia dell’amico-nemico Putin, e il mondo arabo.

Modem ne discute con:
Fazila Mat, giornalista turca, corrispondente in Turchia per l’Osservatorio sui Balcani e Caucaso
Valeria Giannotta, esperta di relazioni internazionali alla Business School della Turk Hava Kurumuru Universitesi di Ankara
Filippo Cicciù, giornalista, laureato in Scienze Politiche all’Università di Bologna con una tesi sulla comunicazione politica del partico fondato dal presidente turco Erdogan
Ahmet Yaman, portavoce comunità curda in Ticino, tra gli organizzatori in Ticino dello sciopero della fame contro i prigionieri politici in Turchia

E in un’intervista registrata, Pierre-Alain Fridez, consigliere nazionale socialista, membro di una delegazione del Consiglio d’Europa che vigila sul voto in Turchia

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