La rete e le tecnologie ad essa legate sul banco degli accusati. Soprattutto dopo gli ultimi attentati di Parigi che ne hanno riattualizzato il problema. Che hanno portato all’ingenua e scontata scoperta che terrorismo e Isis facciano uso di quella parte della rete sommersa nascosta, inaccessibile. Rete a sua volta suddivisa in Deep Web, Dark Web e altre miriade di sotto-piattaforme informatiche e impenetrabili, anonimizzanti canali di comunicazione, dove sguazzano e imperversano senza più identità pedofili d’ogni sorta, trafficanti di armi e droga, sfuggevoli e sanguinarie cellule di terroristi.
Ma è davvero tutta colpa di Internet e delle nuove tecnologie che offrono supporto al terrorismo? Come la Rete, anche il mondo degli esperti si divide. Tra chi pretende controlli indiscriminati, meno libertà, per garantire più sicurezza attraverso limitazioni nell’uso della rete e la messa al bando di strumenti tecnologici e informatici potenzialmente pericolosi. E lo fa proprio in virtù di una pretesa responsabilità dei software e degli strumenti di comunicazione negli attentati.
E chi invece – sul fronte opposto – ricorda come ogni restrizione delle libertà individuali, ogni limitazione dell’uso di strumenti e di tecnologie non porterà mai a sconfiggere il terrorismo. Non servirebbe per impedire ai fanatici di Al Qaeda, dell’Isis o si altri criminali di crearsi a casa propria nuove piattaforme di comunicazione, nuovi strumenti di morte cifrati. Ma entrambi i fronti convinti che la guerra all’Isis e al terrorismo si combatte anche in Internet, a qualsiasi livello di profondità.
Modem ne parla con:
Alessandro Trivilini, responsabile del Laboratorio d’informatica forense della SUPSI, che collabora con le istituzioni cantonali
Philipp di Salvo, ricercatore all’USI, web editor dell’Osservatorio europeo di giornalismo, giornalista scrive per Wired, nota come "La Bibbia di Internet"
Antonino Caffo, giornalista freelance, scrive per Panorama, e il portale Datamanager
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