Ma perché andiamo sul Gottardo?

Io non ci resisto. Quando arriva la bella stagione devo salirci. Devo andare lassù, in cima al Passo del Gottardo, dove ci sono l’Ospizio, i laghetti, i turisti, i bratwurst, i peluche a forma di marmotta.

E ok, non sarà il passo di montagna svizzero più bello o quello con meno traffico (anzi!), ma un sacco di gente non resiste e ci transita ogni anno: 600.000 persone oltrepassano il valico fra giugno a ottobre. Certo, le colonne per entrare nel tunnel portano un sacco di turisti a preferire il passo, ma c’è qualcosa che attira tutti lassù.

Forse è un posto che ci fa sentire più liberi, con più opportunità di andare oltre, verso nord, verso un altrove che non sia il nostro piccolo Sud delle Alpi. È paradossale, assurdo, lo so, ma forse il Gottardo è un po’ come una pianura americana in “On the road” di Kerouac, un punto per andare oltre ogni luogo.

“Basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo. Non può finire in nessun altro posto, no?”

JACK KEROUAC

Ma si sale sul Gottardo anche per ritrovare un pezzo di una Svizzera che, altrove, sta scomparendo o non esiste proprio più, che è fatta di montagne innevate, roccia, tanto verde, bandiere, statue di viandanti, acque limpide, aria pura e una spruzzata di cliché elvetici.

Si va sulla Tremola anche per quello, per sentirsi cristallizzati in una cartolina quasi d’epoca, e per ritrovare il gusto di fare cose lente, apparentemente inutili, assolutamente non produttive e funzionali a tutti i costi.

E poi? E poi la magia finisce, il trucco viene svelato quando si riscende in basso. E ritroviamo subito il caldo, la colonna di auto, i rumori e tutto quello da cui abbiamo cercato di scappare invano.

“L’automobile appartiene alla società del tempo libero del XX secolo come la Tremola al San Gottardo”

Museo Nazionale San Gottardo