Dopo l’attacco di Hamas ad Israele lo scorso 7 ottobre è più che mai importante e impegnativo ricordare il dramma della Shoah. Ma come fare memoria? Forse dando spazio in primo luogo all’empatia e all’ascolto per continuare a trasmettere la storia alle nuove generazioni?
In quest’ottica, in occasione del Giorno della Memoria, Il tempo dello Spirito ha intervistato Valérie Arato, responsabile culturale della federazione svizzera delle Comunità israelite, tra le promotrici del Memoriale nazionale per le vittime svizzere dell’Olocausto, che dovrebbe essere presto realizzato a Berna.
Valérie Arato ha una storia familiare segnata da traumi individuali che si iscrivono in quel grande trauma collettivo che è stata la Shoah, e cioè lo sterminio degli ebrei voluto dai regimi nazisti e fascisti durante la seconda guerra mondiale.
Quali aspetti della sua storia di famiglia l’hanno segnata di più?
I genitori di mio padre, ebrei ungheresi, sono sopravvissuti al ghetto, alla deportazione, ai campi di lavoro, ai campi di concentramento, al tifo e alle marce della morte. In quanto ebrea tedesca, la madre di mia madre si è nascosta per due anni nella Parigi occupata. Il padre di mia madre, i cui genitori erano giunti in Svizzera dalla Polonia all’inizio del XX secolo, prestò servizio attivo nell’esercito svizzero durante la guerra. La storia della mia famiglia riflette quindi abbastanza bene i diversi destini degli ebrei europei durante la seconda guerra mondiale. Io sono nata in Svizzera del 1978, ma l’esperienza dell’espulsione, della persecuzione, dello sterminio fa parte del nostro DNA. Oggi diventa importante per me la responsabilità che deriva da questa storia familiare e la responsabilità di tramandare questa storia affinché non venga dimenticata. Mi auguro che l’elemento unificante, il marcatore, per così dire, non consista solo nella terribile storia dell’antisemitismo e del sospetto verso gli ebrei. E con una certa preoccupazione continuo a chiedermi quanto siano male vivere come ebrea in Svizzera nel 2024.
Cosa ha significato per lei la strage del 7 ottobre, quando all’improvviso i miliziani di Hamas, in un inaudito attacco terroristico, hanno aggredito la popolazione civile del sud di Israele, uccidendo più di 1200 persone e prendendo in ostaggio uomini, donne e bambini ed anziani?
Gli eventi del 7 ottobre sono ancora un grande shock anche per noi ebrei della diaspora. Negli ultimi anni ho osservato con crescente distanza critica gli sviluppi politici in Israele. Tuttavia, in fondo alla mia mente c’è sempre stato il pensiero che se tutto il resto fosse fallito, Israele sarebbe stato l’ultimo e unico rifugio sicuro per noi ebrei nel mondo. Sono cresciuta con questa certezza che è stata distrutta il 7 ottobre e alla luce delle immagini e dei resoconti insopportabili provenienti da Israele, molti di noi sono stati in un certo senso traumatizzati.
Perché è doppiamente importante oggi commemorare le vittime della Shoah?
Ogni anno, il 27 gennaio, la Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto ricorda la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell’esercito russo nel 1945. La maggior parte delle persone oggi non si rende conto del significato di questa data. In questo giorno in tutto il mondo viene posto un segno di commemorazione per le milioni di vittime causate dal regime nazional socialista. Purtroppo, come possiamo vedere, ancora oggi, questa giornata non ha perso nulla della sua importanza. Vorrei sottolineare tre punti in particolare per illustrare il significato di questa Giornata della Memoria. Primo, l’antisemitismo che si manifesta qui e ora in molti modi diversi e molto chiaramente ci preoccupa. Secondo: i sopravvissuti, che possono ancora raccontare direttamente le loro esperienze, stanno morendo e i testimoni contemporanei stanno scomparendo. E terzo, e questo punto mi sembra importantissimo, dobbiamo proteggere i fatti passati e presenti e dobbiamo fare attenzione a non strumentalizzare e politicizzare i fatti e a non dare spazio alle fake news».