Il dossier di Alphaville intitolato Il senso della natura esplora in cinque incontri il tema della natura e del rapporto che l’essere umano instaura con essa, prendendo spunto dall’omonimo libro, pubblicato da Sellerio, del filosofo italiano Paolo Pecere.
Il tema non è certamente nuovo, anzi. Nell’opera del 1938 La storia come pensiero e come azione, Benedetto Croce dedicò un saggio proprio alla distinzione che l’Occidente ha sempre individuato come decisiva nella descrizione del mondo: da un lato la natura e dall’altro la cultura. Questa chiave di lettura può essere molto utile per mettere in discussione la posizione dell’essere umano nei confronti del sistema natura, di cui bisogna ricordare di esserne parte e non superiori.
Non è ammissibile la divisione che si suol fare tra storia dell’umanità e storia della natura, mancando qui ogni assegnabile criterio distintivo, e appartenendo l’una e l’altra in modo omogeneo (...) all’unica Storia.
Bendetto Croce, La natura come storia senza storia da noi scritta (1938)
Il fatto che la storia naturale e la storia umana siano accomunate da un medesimo divenire, dall’essere parte di uno stesso sistema, è il punto di partenza del ragionamento del filosofo napoletano. Essendo anche la natura parte della Storia, essa dunque non può non avere - per quanto possa suonare paradossale - una coscienza del suo fare. Spesso si commette l’errore di assegnare arbitrariamente la facoltà di coscienza solo a un determinato gruppo privilegiato di individui, negandola agli uomini primitivi, alle classi inferiori di esseri viventi o ai popoli stranieri. Questa coscienza storica la posseggono, al contrario, di volta in volta gli esseri che vengono definiti “naturali”, coloro che questa storia la fanno; non la conoscono invece gli uomini, che di questa storia non sono gli attori principali.
Una delle tante questioni sempre proposte e non mai risolute (...) riguarda il punto d’inizio della storia umana, che talora è stato segnato nell’invenzione della scrittura, e talora nella formazione dello Stato, e talora nell’apparire dell’individualità, e in altri modi; e non si è pensato che essa comincia ogni volta che sorge il bisogno di intendere una situazione per un’azione. Se in ciò consiste il nostro conoscere (...) quelle che si chiamano cognizioni delle cose della natura non sono propriamente cognizioni ma astrazioni eseguite sulla vivente realtà del mondo, e, come astrazioni, prodotto di un’operazione pratica onde le cose vengono fermate e contrassegnate per ritrovarle e servirsene (...) e non già per intenderle.
Bendetto Croce, La natura come storia senza storia da noi scritta (1938)
Bisogna, dunque, accontentarsi di una conoscenza “superficiale” della storia della natura? Forse sì, perché non ne siamo i protagonisti. L’importante è porsi nella giusta prospettiva: non credere di esserle superiori o dominanti, ma riconoscere il proprio posto all’interno del sistema. Ciò gioverebbe tanto agli esseri umani quanto alla natura, perché così facendo si ripristinerebbe una relazione sana di coesistenza reciproca e non di predominio dell’uno sull’altra. In un’epoca in cui oltre allo sfruttamento industriale del pianeta Terra ci si affaccia sempre di più verso lo sfruttamento dello spazio, sono riflessioni preziose per ritrovare un comportamento etico che ridimensioni la volontà di potenza che alcuni uomini ed alcuni governi esercitano sul mondo, senza porsi alcuna riserva. La chiave sta nel sacro patto che ognuno ha il dovere di sancire con la natura che ci ospita, grande tema del Viaggio di G. Mastorna di Federico Fellini:
E a voce bassa, sorridendo, mormora: “E apertamente dedicai il cuore alla terra grave e sofferente. E promisi di amarla con fedeltà, fino alla morte, senza paura, col suo greve carico di fatalità, e di non spregiare alcuno dei suoi enigmi; così m’avvinsi ad essa di un vincolo mortale”.
Citazione tratta da Hölderlin, La morte di Empedocle, 1846 (in F. Fellini, Il viaggio di G. Mastorna, 1992)
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