Filosofia e Scienze

Il senso della natura e un futuro da scoprire

Nell’ultimo libro di Paolo Pecere il recupero della nostra memoria biologica così da avvertire l’unione indissolubile, vivente, organica e inorganica di tutto ciò che esiste sulla Terra

  • 15 novembre, 12:00
  • 16 novembre, 09:21
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  • Keystone
Di: Red. 
Ho costruito questo libro nel corso di molti anni, tra viaggi e ricerche a tavolino. L’obiettivo è raccontare la terra in chiave ecologica, alla luce delle grandi domande che oggi ci impegnano intorno al cambiamento climatico, allo stato della vita sulla terra, all’estinzione di specie animali, e anche alle condizioni delle società umane che spesso suscitano ansia ed emozioni negative. Ciò che ho voluto fare è stato combinare la razionalità, e anche la conoscenza scientifica, con una componente sensoriale ed emotiva che producesse un coinvolgimento diverso - anche positivo - così da prendere a cuore queste questioni. Mi sono accorto mentre scrivevo che c’erano dei grandi modelli per tutto ciò: Alexander von Humboldt, il grande viaggiatore naturalista di fine’ 700 Darwin e altri. Libri di grandi autori, che però sono modelli perché sono libri scientifici, ma anche libri che raccontano un territorio, che hanno una dimensione letteraria ed estetica. Ho costruito percorsi tematici passando per delle zone esemplari della terra, l’Amazzonia, più volte l’Himalaya e così via. Sono territori dove molti di questi viaggiatori sono passati. Racconto i luoghi che sono stati visitati in passato da grandi naturalisti o naturaliste, e anche racconto quello che oggi si vede e quanto differisce dal passato. Ci sono delle novità, delle nuove difficoltà da affrontare o comunque delle nuove dimensioni da introdurre. La prima è la polifonia, cioè oggi bisogna consultare esperti di molte discipline. Ho voluto far parlare anche altre popolazioni e quindi è un libro in cui ci sono molti dialoghi. Ho voluto raccontare le diverse condizioni di vita attuali sulla terra, la diversità di vita fra una grande metropoli in Africa o a New York oppure appunto la foresta amazzonica o l’Indonesia».

Paolo Pecere

Guardare negli occhi un orango, un polpo, uno squalo balena. Mettersi in cammino per capire un deserto, una foresta o una catena montuosa attraversando le tradizioni del pensiero umano. Muoversi da New York alle Galápagos, dall’Islanda al Borneo, dal Ruanda al Tibet, per immergersi nella nostra casa, il pianeta che dobbiamo amministrare. Tutto questo è “Il senso della natura. Sette sentieri per la terra”, l’ultimo libro di Paolo Cecere, filosofo che insegna all’Università di Roma Tre e che attualmente è fellow all’Italian Academy della Columbia University. Del volume ne ha parlato in un dossier in cinque puntata Alphaville, l’approfondimento culturale di Rete Due.

C’è un pianeta di cui bisogna scrivere il futuro, scrive Pecere: negli ultimi anni è stato riconosciuto l’impatto distruttivo della civiltà umana sulla natura, reso evidente da catastrofi climatiche, estinzioni di intere specie animali, desertificazione e scomparsa di paesaggi. Eppure, questa consapevolezza non produce alcun reale cambiamento nei nostri modi di vivere, nelle soluzioni adottate dalle società industriali per evitare la calamità. Al tempo stesso, assistiamo al diffondersi di un amore appassionato e di una profonda nostalgia per la natura incontaminata, rifugio dall’assordante disarmonia del mondo. È sicuramente un sentimento genuino, ma del tutto inadeguato a proteggere la Terra.
Da questa scissione paradossale, consapevole che la sola verità scientifica non sembra sufficiente a scuoterci, inizia il percorso di Paolo Pecere. Studiare e attraversare le città, con il loro apparente isolamento dall’ambiente e la loro dipendenza dalle risorse naturali, spostarsi sulle montagne e sotto gli oceani, esplorando l’origine della nostra coscienza, l’idea di un ordine cosmico, il rapporto tra umano e ciò che ci appare profondamente altro, diverso da noi, gli animali, le piante, l’acqua e la pietra, il paesaggio. Qual è oggi, allora, il vero senso della natura, quel sentimento che siamo chiamati a ritrovare o immaginare di nuovo? Potrebbe significare «amare chi non è come noi», oppure restare in silenzio e guardare il mondo attraverso occhi che non sono i nostri. O forse smettere di scrutare sempre e ossessivamente noi stessi.

La scoperta di una cura del mondo, una nuova definizione dell’ecologia, quella «scienza magnifica che è diventata triste», hanno bisogno di una visione del futuro che immagini altri modi di percepire la natura, e di un recupero della nostra memoria biologica che ci faccia avvertire l’unione indissolubile, vivente, organica e inorganica di tutto ciò che esiste sulla Terra.

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