L’analisi

Dopo Francesco, in arrivo un conclave incerto e planetario

Se dopo Benedetto XVI e lo scandalo dei Vatileaks era verosimile immaginare un’elezione di rottura, oggi tutto è meno decifrabile. Il candidato giusto potrebbe essere sia una personalità aperta ma senza strappi eccessivi sulla dottrina, sia un conservatore però di ampie vedute

  • Oggi, 05:51
  • 37 minuti fa
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Il cardinale Camerlengo Kevin Joseph Farrell sigilla la porta della camera da letto e dello studio papale in Vaticano dopo l'annuncio della morte di Francesco, lunedì 21 aprile 2025

  • Keystone
Di: Paolo Rodari 

Tutto è ancora incerto. Con la scomparsa di Francesco, infatti, la Chiesa si prepara a un conclave inedito perché planetario, globale, il meno eurocentrico dell’epoca contemporanea, con le periferie al centro e la maggioranza dei cardinali di nomina bergogliana che arrivano da tutto il pianeta. Se dopo Benedetto XVI e lo scandalo dei Vatileaks era verosimile immaginare un’elezione di rottura, come poi si è verificata con Bergoglio, oggi tutto è meno decifrabile. Il candidato giusto potrebbe essere sia una personalità aperta ma senza strappi eccessivi sulla dottrina, sia un conservatore però di ampie vedute.

In ogni caso, difficile negarlo. Al momento il favorito alla successione di Jorge Mario Bergoglio è l’italiano Pietro Parolin. Segretario di Stato vaticano, 70 anni, piace sia ai bergogliani sia ai conservatori. Fine diplomatico, sa incarnare la strada dell’attuazione del Concilio Vaticano II portata avanti da Francesco senza spaventare la Chiesa più legata alla tradizione, alle sue regole e sensibilità. Francesco l’ha voluto al suo fianco alla guida della diplomazia pontificia. Di lui si è sempre fidato, anche nei momenti più difficili come nel caso del processo al cardinale Becciu.

Se Parolin è un candidato «di continuità» e insieme «un equilibratore» in grado di mantenere il timone della Chiesa su una linea pastorale aperta ma senza rotture destabilizzanti, è anche vero che dietro di lui sono diversi i porporati che possono ambire all’elezione. Fra questi, anzitutto, Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. Vicino a Francesco sui temi sociali, ha una lunga esperienza in campo diplomatico grazie alla vicinanza alla Comunità di Sant’Egidio. Anche lui è molto amato dai conservatori, perché accogliente verso ogni sensibilità. Espressione di una Chiesa vicina ai poveri e al dialogo, ha con un approccio pastorale innovativo, dialogante e pragmatico.

E poi l’outsider italiano, ovvero il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme. È un francescano in grande ascesa. Ha esperienza diretta del conflitto in corso a Gaza, la sua candidatura potrebbe essere favorita dalla necessità di un ponte tra Oriente e Occidente, oltre che dalla sua capacità di dialogo interreligioso. In questi mesi di guerra Francesco l’ha sentito più volte. La linea della Santa Sede di condanna delle violenze e insieme di vicinanza ai due popoli sofferenti è la sua linea.

Durante lo scorso conclave più volte si fece il nome del filippino Luis Antonio Tagle, prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione dei popoli. Negli ultimi anni ha lavorato sodo senza cercare le luci della ribalta, nel nascondimento, e tutto ciò potrebbe favorirlo. È un volto dell’Asia cattolica, con un carisma che ricorda quello di Francesco. Potrebbe essere un pontefice simbolo di una Chiesa missionaria e giovane. Dopo il primo papa sudamericano, il primo papa asiatico.

Ma è ancora l’Europa che potrebbe riservare sorprese. Il francese Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, infatti, è un nome che circola molto. Esperto di dialogo interreligioso, particolarmente con l’Islam, rappresenta un’Europa che vuole ancora avere un ruolo guida nella Chiesa, con un’apertura alle sfide migratorie e culturali del Mediterraneo.

E sempre in Europa c’è il nome del conservatore, ma con vedute aperte, il cardinale svedese Anders Arborelius. È nato da una famiglia protestante, in Svizzera, e si è convertito al cattolicesimo a vent’anni.

E ancora il portoghese José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, poeta e teologo, una figura intellettuale di spicco con una visione aperta e dialogante della fede. La sua sensibilità culturale e il suo approccio pastorale innovativo lo rendono un candidato di rilievo per chi cerca un ponte tra tradizione e modernità.

Meno possibilità sembrano averte due candidati più nettamente vicini al mondo conservatore, ovvero Péter Erdo, ungherese, arcivescovo di Esztergom-Budapest, canonista e teologo, un esponente della linea più conservatrice che ha già avuto un ruolo chiave nei sinodi passati. E Robert Sarah (Guinea), prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino, tra i più influenti porporati conservatori. Il suo nome potrebbe aggregare il voto di chi desidera una svolta più tradizionalista dopo il pontificato di Francesco.

Sullo sfondo ancora ci sono altri nomi. Nel caso le prime votazioni non portino a un candidato forte, sono loro a poter entrare in gioco. Si parla in questo senso di Charles Bo (Myanmar), arcivescovo di Yangon, figura di primo piano in un’area geopoliticamente instabile. Ha una visione missionaria e attenta ai diritti umani. Di Malcolm Ranjith (Sri Lanka), arcivescovo di Colombo, ex segretario della Congregazione per il Culto Divino, è un candidato di area tradizionalista, vicino a Benedetto XVI. Di Fridolin Ambongo Besungu (Repubblica Democratica del Congo), arcivescovo di Kinshasa, francescano, attivo sul fronte sociale e politico nel suo Paese. Potrebbe rappresentare un ponte tra Africa e Vaticano. E di Willem Jacobus Eijk (Paesi Bassi), arcivescovo di Utrecht, tra i porporati europei più tradizionalisti.

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