“Nel formarsi del concetto d’Europa e del sentimento europeo, i fattori culturali e morali hanno avuto nel periodo decisivo di quella formazione preminenza assoluta, anzi esclusiva”. Così scriveva Federico Chabot nella sua Storia dell’idea d’Europa.
Nell’anno appena trascorso si è celebrato il settantesimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi e il suo processo di beatificazione in corso potrebbe portare alla consacrazione di “venerabilità” entro il Giubileo del 2025.
Da sempre al centro della riflessione sia del cattolicesimo liberale (Pietro Scoppola, La proposta politica di de Gasperi, il Mulino, 1977) sia del pensiero laico liberale (Piero Craveri, De Gasperi, Il Mulino, 2006), il grandissimo statista torna oggi ripetutamente nei dibattiti italiani ed europei, come un faro nel buio dell’attuale situazione mondiale ed europea. La fine dell’ordine fondato sul diritto internazionale lascia il posto ad un multilateralismo disordinato. Foriero solo di guerre e instabilità. Capeggiato da nuovi imperatori tecno-autoritari. E niente è, dunque, di più attuale del suo motto: “La politica estera è sempre la chiave della politica interna”.
Santo o non santo De Gasperi ha ricostruito un’Italia ridotta a pezzi, in un’ottica di federazione europea, sulle macerie lasciate dalla fine della seconda guerra mondiale, di cui era stata colpevolmente responsabile sotto la guida del fascismo. Facendosi carico, come un generoso cireneo, delle conseguenze di una sconfitta disonorevole e dunque di una pace senza condizioni, De Gasperi riesce a riaccreditare l’Italia in Europa e nel mondo. Come mai fece un Presidente del Consiglio, inanellando una serie di conquiste ‘positive’ ottenute in otto anni: riuscì a favorire il passaggio dalla monarchia alla Repubblica con un Referendum popolare, difese l’integrità territoriale con rara abilità ( pensiamo alla difficile risoluzione del trentino, di cui era figlio orgoglioso), ottenne il fondamentale Piano Marshall, portò l’Italia nel Patto atlantico in un mondo sempre più diviso in due blocchi. Promosse un importante sviluppo economico con la Cassa del Mezzogiorno, la riforma agraria , il piano delle case popolari, l’Eni di Mattei. Insomma il miracolo economico.
E la cosa che lo rende tanto attuale, la sua intuizione più profetica, fu la CED, il Trattato che istitutiva la Comunità di difesa europea. Miracolo che non riuscì ad ottenere e che fallì per colpa della Francia proprio in coincidenza con la sua morte avvenuta il 19 agosto 1954 nella sua casa in Borgo Valsugana. Non ispirata da alcuna logica guerrafondaia e militarista la difesa comune non era neppure una proposta episodica puramente difensiva, minimale. Rispondeva certo all’opportunità di essere autonomi dagli Stati Uniti: “ Non bisogna nascondersi – scriveva – che tra i nordamericani i fanciulloni sono molti, e che anche le democrazie politiche hanno dei punti deboli. La vecchia Europa è più equilibrata ed esperta”. Ma la CED avrebbe potuto e dovuto essere molto di più e cioè il primo passo, il volano stesso dell’unità europea. Avrebbe addirittura avuto un potere costituente, quello di decidere cioè le scelte politiche, fiscali e naturalmente la politica estera dell’Europa. Avendo un contenuto morale. L’esercito europeo rispondeva soprattutto ad una visione molto profonda e tutt’altro che militarista. Uno spirito di solidarietà e di universalità propri dello spirito cattolico. Di una comunità di destino.
Debitore alle sue radici trentine e alla sua esperienza politica austriaca sentiva l’importanza delle autonomie locali, il valore prezioso delle specificità morali, culturali , storiche e politiche delle comunità. Così che non identificava nazioni e Stati, che restavano entità diverse. La sua visione non era insomma quella di un super Stato accentratore.
Gli aspetti che qui abbiamo trattato sono ricostruiti nell’ottima biografia scritta da Antonio Polito, Il costruttore , Mondadori 2024, che senza nulla togliere al rigore scientifico, riesce a rispondere - grazie alla scrittura davvero sciolta e appassionata e alla impeccabile ricostruzione storica - al perché Alcide De Gasperi sia così tanto popolare nel dibattito attuale.
La sua visione si richiamava alle radici cristiane dell’Europa, alla diffidenza verso lo spirito di scissione della Riforma luterana e verso le influenze illuministe con l’estenuato concetto di laicitè.
La filosofia, la spiritualità la sua stessa devozione aveva dei caratteri potremmo dire antimoderni, tanto diversi dal cattolicesimo francese, senza sposare però mai le forme estreme dell’ intransigentismo, quel rimpianto nostalgico della Christianitas medioevale che tanto segnò la cattolicità europea dopo la Rivoluzione francese. La Sensucht di Novalis verso la perduta unità sacra dell’Europa medievale. Che vagheggiava il ritorno alla religione come collante per sconfiggere la ‘civiltà moderna’ e che sarà l’anima culturale e morale che animerà la prima guerra mondiale. Guerra di religione contro la secolarizzazione per il ripristino degli stati cristiani.
De Gasperi non cadde in quella nostalgia e seguì le orme - mai dimenticarlo - di Luigi Sturzo. Entrambi furono molto influenzati dall’ esperienza del cattolicesimo politico tedesco, vera nave scuola di quello italiano. Il primo partito cattolico al mondo, fondato in Germania nel 1870 con il nome di Zentrum, dovette sopravvivere al Kultukampf (lo scontro di civiltà tradurremo malamente oggi) che l’Impero guglielmino infliggeva ai cattolici che osavano fare politica, accomunati alla stessa sorte dei socialisti. Entrambi perseguitati politici.
Il Zentrum dimostrò grande autonomia dal Vaticano, in quegli anni, contro la legge sulle spese militati volute da Bismark, trasgredendo le indicazioni del Papa.
Quando ripenso a quella grande lezione di laicità mi torna in mente - anche se fu tutt’altra la situazione - la fermezza che dimostrò De Gasperi nel così detto affare Sturzo quando non accettò l’alleanza con i fascisti nelle elezioni amministrative del 1952 caldeggiata, in funzione anticomunista, da papa Pio XII. Una disubbidienza che si rivelò politicamente vincente e consacrata dal successo elettorale della DC, a cui seguì la richiesta di un’udienza privata con tutta la famiglia. Che gli fu negata. Uno sfregio che lo ferì moltissimo. De Gasperi ne fu addoloratissimo ma rispose con dignità: “Come cristiano accetto l’ umiliazione benchè non sappia come giustificarla; come Presidente del Consiglio… la dignità e l’autorità mi impone di esprimere lo stupore per un rifiuto così eccezionale e di riservarmi di provocare dalla Segreteria di Stato un chiarimento“.
Non è un caso - afferma Polito - se le tre grandi personalità alle quali si può rivendicare la paternità della fondazione europea, Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer furono tutti di forte fede cattolica. Tutti nati ai margini degli imperi. Che parlavano tedesco tra loro.
Polito tratteggia con empatia il temperamento, la pazienza, la sobrietà lo spessore umano di De Gasperi, e l’investimento politico, strategico e umano nella costruzione europea tramite la Ced e come con lungimiranza dicesse nello sconforto fino alle lacrime per il suo fallimento in una telefonata a Mario Scelba, appena insediato a Palazzo Chigi: “…meglio morire che non fare la Ced…se l’Unione europea non si fa oggi, la si dovrà fare inevitabilmente fra qualche lustro; ma cosa passerà tra oggi e quel giorno Dio solo lo sa”.
Era l’agosto del 1954 a pochi giorni dalla sua morte. E oggi siamo qua, con una Europa fragilissima, di fronte al “mondo grande e terribile”.
Tutti gli schermi del presidente
Charlot 12.01.2025, 14:35
Contenuto audio