“Il riscaldamento globale è la più importante storia che non abbiamo mai raccontato”. Il primo a dirlo fu, nel 2014, l’attivista del clima George Marshall, il quale aveva studiato a lungo le ragioni per le quali il nostro cervello sembrerebbe fatto apposta per ignorare i cambiamenti climatici (cfr. Don’t Even Think About It: Why Our Brains Are Wired to Ignore Climate Change, 2015). Non sappiamo raccontare il cambiamento climatico. Non sappiamo farlo sebbene sia la più grande sfida mai affrontata dall’umanità.
Non sappiamo farlo non solo in quanto l’arte in generale, e la letteratura in particolare, è stata finora per lo più cieca e sorda di fronte alle tematiche legate al clima, come spiega mirabilmente lo scrittore indiano Amitav Ghosh nel suo La grande cecità, in cui riflette sul perché di questa assenza in letteratura e sulla possibilità di concepire il racconto della crisi climatica.
Intervista Amitav Ghosh
RSI Cultura 07.12.2021, 09:50
I cambiamenti climatici e la questione climatica in generale sono per lo più ancora confinati nella saggistica, nei siti web ambientali, o negli inserti dei giornali, senza riuscire ad entrare nell'immaginario delle persone, quello fatto di romanzi, musica e film, dove il tema è stato fin qui trattato per lo più in modo fantascientifico, immaginando scenari distopici: la cosiddetta climate fiction, i disaster movie. Un modo in fondo rassicurante di parlarne, perché lo scenario distopico è lontano dal nostro mondo e dal nostro tempo e dunque "non ci riguarda". Ma il Cambiamento climatico da tempo non è più fantascienza, è una realtà che è sotto gli occhi di tutti, anche alle nostre latitudini.
D’altronde la scienza sta illustrando da decenni, con centinaia di studi incontrovertibili, la situazione climatica e il suo graduale e progressivo peggioramento: già 50 anni fa gli scienziati ci dicevano quello che è poi successo, e di cui siamo tutt’oggi testimoni. Insieme agli scienziati, anche la comunicazione di massa e quella scientifica hanno cercato strade per amplificare e raccontare questo problema. Ma scienziati e comunicatori hanno fallito nel loro intento di portare all’attenzione queste problematiche con la necessaria urgenza ed efficacia, tanto da indurre un cambiamento virtuoso nei nostri comportamenti per rallentare, quantomeno, questo processo e fare pressione sui decision maker. Molte comunicazioni sui cambiamenti climatici sono corrette nell'elencare i rischi e i possibili scenari negativi, ma sbagliate nel modo in cui cercano di spingere le persone all’azione. Lo stesso IPCC, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, ha fatto autocritica dichiarando che la comunicazione delle problematiche legate al clima è fallita e che urge trovare nuovi modi di parlare dei cambiamenti climatici.
Eventi estremi più frequenti se non si interverrà
Molte le ragioni di questa difficoltà, e soprattutto di questa rimozione o cecità, di cui si stanno occupando anche neuroscienziati, sociologi, evoluzionisti e filosofi, e che coinvolge e riguarda molti ambiti del sapere e soprattutto della società: sia il singolo cittadino che le aziende, i governi, e più in generale il sistema socio-economico.
Nel profondo, lo sconvolgimento climatico e le conseguenze che ingenera infrange la promessa del progresso, quel progresso basato sulla crescita continua, sempre auspicata e invocata dal nostro sistema economico: una crescita costruita su un rapporto malato e squilibrato con il pianeta e le sue risorse, di cui l’uomo, dal colonialismo in poi e soprattutto col capitalismo, si è servito come fosse merce a sua completa e perenne disposizione. Dimenticandosi che senza economia possiamo vivere, senza natura no.
Il cambiamento dunque non è solo climatico, è globale, come scrive Margaret Atwood nel suo It’s not Climate Change. It’s everything Change, ‘è l’intero sistema di condizioni e relazioni su cui si basano le nostre società e il nostro equilibrio di individui e di specie’ .
Da qualche anno, però, si è cominciato a riflettere sulla necessità di trovare una nuova forma di narrazione, perché ci si rende conto che il cambiamento climatico, e il riscaldamento globale in particolare, può essere mitigato non solo ripensando il nostro modo di vivere, il nostro sistema economico, ma anche cambiando il modo di raccontare le storie.
Come scrive la scrittrice e saggista britannica Zadie Smith nella sua Elegia per le stagioni di un paese, “possediamo il linguaggio tecnico della scienza per descrivere l’azione del cambiamento climatico ma non abbiamo ancora le parole personali per trasformare questa conoscenza in esperienza”.
Come cambia il clima
RSI/Gilberto Mastromatteo 21.04.2019, 08:25
Non è un caso che tra i finalisti del premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica 2023 vi sia anche il libro Siamo tutti Greta. Le voci inascoltate del cambiamento climatico (Dedalo edizioni), una serie di testimonianze, raccolte dalla biologa Sara Moraca, di persone che in varie parti del mondo stanno vivendo sulla loro pelle l’impatto dei cambiamenti climatici, restituite in forma di narrazione con tutta l’empatia che questo comporta e con gli esempi di ciò che questi testimoni stanno facendo concretamente: dalla giovane ricercatrice che progetta stazioni meteo smart per favorire l'agricoltura in Uganda ai nativi groenlandesi che lottano per evitare l'apertura di una miniera là dove i ghiacci in ritirata hanno messo a nudo preziose terre rare. E all’interno di questa narrazione sono fornite informazioni scientifiche puntuali e rigorose.
Come ricorda il filosofo della scienza ed evoluzionista Telmo Pievani nella prefazione al libro, “L'emergenza climatica è, prima ancora che un argomento di studio della scienza, un'esperienza umana. Le conseguenze del riscaldamento globale stanno già modificando la vita di intere comunità, donne, uomini e bambini, ponendoli di fronte a rischi maggiori e a notevoli sfide di adattamento”.
Come si comunicano i cambiamenti climatici e le questioni legate al clima è dunque oggi una questione centrale. I "fatti" non bastano più, così come le immagini shock dell’orso polare alla deriva su un frammento di iceberg, o le ‘avvincenti’ storie catastrofiste: bisogna raccontarlo con linguaggi nuovi, con empatia, entrando nello spazio personale di ogni individuo.
Dobbiamo quindi pensare criticamente al tipo di storia che stiamo raccontando: stiamo raccontando una storia di disperazione e di cosiddetta inevitabilità? una storia di emissioni negative, cicli di feedback, punti di ribaltamento o altre cose che la maggior parte delle persone non capisce affatto? O stiamo raccontando una storia di speranza, di possibilità e di capacità umana?
In un lungo articolo pubblicato sul numero di aprile della rivista Le Scienze, Susan Joy Hassol, comunicatrice, analista e autrice che da 25 anni rende accessibile la scienza del clima, nonché direttrice del progetto divulgativo Climate Communication, scrive che “Per ispirare la gente dobbiamo raccontare una storia non di sacrificio e privazione, bensì di opportunità e miglioramento della nostra vita, salute e prosperità, una storia di progresso umano in un’epoca post combustibili fossili”.
Una storia in cui anche le parole contano: Il linguaggio che usiamo per descrivere le soluzioni per il clima può aggravare la spaccatura culturale. Termini come ‘regolare’, ‘vietare’, ‘tagliare’, ‘importare’ e ‘tasse’ sono impopolari (…). Forse la gente sarebbe più disposta a sostenere soluzioni descritte con termini come ‘innovazione’, ‘imprenditorialità’, ‘ingegno’, ‘mercato, opportunità.
Le percezioni possono infatti essere influenzate dalle parole che usiamo. Tra queste la Hassol riporta il termine "naturale" che in genere si riferisce a ciò che avviene senza l’intervento umano. "Ma molti eventi che chiamiamo disastri naturali – come piogge torrenziali e uragani più forti, che portano a gravi alluvioni, o caldo e siccità estremi che intensificano gli incendi - non sono più del tutto naturali. Sconvolgendo il clima e costruendo in luoghi vulnerabili, l’umanità sta generando disastri innaturali". O anche il termine gas naturale che viene per lo più associato all’idea di ‘pulito’, mentre il metano a quella di ‘inquinamento’, anche se il gas naturale è costituito quasi interamente da metano.
“Affrontare le sfide della comunicazione sul clima, conclude la Hassol, potrebbe aiutarci a trovare una volontà politica sufficiente per scongiurare i peggiori effetti del cambiamento climatico prima che sia troppo tardi”.
Ma anche l’arte - in tutte le sue forme, letteratura in primis - in dialogo con la scienza potrebbe suggerire forme di comunicazione alternativa, per toccare nel vivo i cittadini e indurre così una comprensione profonda di temi come i cambiamenti climatici e la complessità delle relazioni ecologiche: perché come scrive Niccolò Scaffai, nel libro-antologia Racconti del pianeta Terra, Einaudi 2022) “la presa di coscienza di tali relazioni è la prima tappa da raggiungere per salvare il pianeta”.